Reportage

#29 RAZIONE ESTIVA DI BUON GHIACCIO ALPINO

Cronaca di una salita al Castore

testo e foto di Giovanni Baccolo  / Milano

10/12/2020
8 min
Il Bando del BC20

Razione estiva di buon ghiaccio alpino

di Giovanni Baccolo

Preambolo
L’idea del giro è stata di Frank che ben conosce i sentieri della Val d’Aosta, ma non è mai stato su un 4000. Bisogna rimediare!

La scelta cade sul Castore perché è allo stesso tempo una cima adatta a chi non ha molta esperienza in quota, ma soprattutto anche perché è la montagna-simbolo della Valle di Ayas, la valle originaria di Frank. Abbiamo impiegato due anni a organizzarci, ma ce l’abbiamo fatta.
Proprio per via del legame tra Frank e la Val d’Ayas, scegliamo di salire da questo versante, lasciando la macchina a Saint Jacques e raggiungendo il rifugio Sella dai Piani di Verra e dal Passo della Bettolina. In discesa passeremo di nuovo al Passo della Bettolina, ma da lì ci manterremo sullo spartiacque con la Valle di Gressoney fino al Colle di Bettaforca e da lì raggiungeremo Saint Jacques per il vallone della Forca.

Oltre a Frank e al sottoscritto c’è Maffe, anche lui avido di nuove esperienze sui monti. La montagna gli piace, ma non è ancora stato su un grande ghiacciaio alpino. Curioso che invece abbiano entrambi trascorso mesi sulla calotta groenlandese. Questa è la prima volta che andiamo in montagna insieme. Ci conosciamo perché siamo tre giovani ricercatori di glaciologia, in particolare ci occupiamo di carote di ghiaccio, un fondamentale archivio ambientale che utilizziamo per ricostruire il clima del passato.

La salita
La logistica è appannaggio di Frank che in Val d’Aosta è di casa. Io e Maffe lo raggiungiamo ad Aosta dove trascorriamo una prima notte. Il giorno dopo arriviamo in Val d’Ayas e lasciamo la macchina a Saint Jacques. Da lì cominciamo l’interminabile salita al Rifugio Sella al Felik, quasi duemila metri più in alto (3585 m). La fatica è tanta, anche perché tra lock-down e imprevisti, l’allenamento è quello che è. L’ambiente è però bellissimo, il sentiero attraversa boschi, pascoli, morene e pietraie di rara bellezza; partiamo immersi nei boschi di larice e arriviamo al rifugio, un’isola in mezzo a grandiosi ghiacciai. Fino al Colle della Bettolina non incontriamo nessuno e questo rende il cammino ancora più bello.

Man mano che saliamo, intorno a noi spuntano montagne sempre più alte, percorse da grandi ghiacciai. Passo dopo passo percepiamo il nostro ingresso nel mondo dell’alta montagna.
Il morale durante la salita è alto, ma dal Colle della Bettolina la fatica comincia a farsi sentire e da lì in avanti diventiamo più silenziosi fino a cadere nel mutismo totale. Non procediamo più insieme, ognuno segue il suo passo e si ferma quando meglio crede. Mentre percorriamo le corde fisse prima del rifugio, un suono rompe il silenzio. Un rutto echeggia tra le nuvole che ci avvolgono. Per tirarmi su ho estratto dallo zaino l’arma segreta: una lattina di coca. Qualcuno storcerà il naso, ma la preziosa bevanda mi ha sempre aiutato nei momenti di sconforto alpestre e anche questa volta fa il suo dovere.

Un pensiero vigliacco comincia a tormentarci: perché non abbiamo preso la funivia? Col senno di poi siamo però stati contenti della decisione e non solo perché guadagnare la cima by fair means (Mummery non ridere di noi) è una gran soddisfazione, ma anche perché la lunga salita ci ha forse meglio abituati alla quota. Dormiamo infatti bene, cosa rara quando si sale così in alto dal fondovalle. La cena e la sistemazione nella camerata al tempo del Covid vanno lisce come l’olio, i gestori si danno un gran da fare per rispettare le misure di distanziamento.

Prima di dormire usciamo per dare un’ultima occhiata alla montagna. Davanti al rifugio sono comparse molte tende, alcuni preparano la cena, altri dormono, qualcuno -come noi- ammira le cime e i ghiacciai. Il paesaggio è incredibile. Il cielo è limpido e scuro, ma le ultime luci portano colori caldi, che contrastano con il ghiaccio che ci circonda. Ormai i moti convettivi sono cessati, il sole ha smesso di scaldare l’atmosfera, eppure qualche solitario brandello di nube si aggrappa ancora alle cime. Sono forse sospinti dal calore rilasciato dalle poche rocce che affiorano tra i seracchi.

Osservo il Castore, i Lyskamm, le altre cime del Rosa e infine il Colle del Lys, ripensando a quando trascorsi lassù giornate irripetibili per perforare una carota. Il Monte Rosa è forse il massiccio alpino più importante per i carotaggi di ghiaccio. Al Colle Gnifetti è conservato con buona probabilità il ghiaccio più antico di tutte le Alpi, in profondità esso ha più di 10.000 anni. Rientrando al rifugio lancio un ultimo sguardo al Castore: percepisco quell’irrequietezza buona che precede le belle avventure, siamo contenti di essere qui.

Il giorno dopo usciamo alle 5.30; il cielo è chiaro anche se il sole non è ancora spuntato. Molte luci si muovono sui ghiacciai, gli alpinisti impegnati con le vie toste sono già in azione. Respiriamo a pieni polmoni. L’aria è cristallina e fredda ed è un piacere respirare l’odore secco della neve. Provare queste sensazioni nel mezzo dell’estate -a poche ore dalla pianura dove si boccheggia- mi lascia esterrefatto. Non riesco ad abituarmi a questi contrasti. Rapido ripasso su nodi e manovre e partiamo, sono le 6. Il ghiacciaio ci saluta subito con un bel vento catabatico che ci obbliga a coprirci, indossando tutto ciò che abbiamo con noi.

Le condizioni sono però ottime: non c’è ghiaccio affiorante, ma solo buona neve rigelata, di quella che fa uno splendido rumore sotto ai ramponi. La prima parte della salita è forse un po’ monotona: si segue il ghiacciaio risalendolo dolcemente verso destra fino ai piedi del Colle del Felik, dove le pendenze aumentano e comincia la parte interessante del percorso. Questo colle separa la mole del Castore da quella dei Lyskamm ed è una porta che ci spalanca un mondo incredibile.

Raggiunto il Colle si apre infatti un vasto pianoro di neve immacolata solcata da grandi crepacci, che si estende dalla mole del Castore fino a quella dei Lyskamm, degradando dolcemente verso il grande ghiacciaio dei Gemelli (Zwilling Gletscher). Più a destra – dietro ai Lyskamm – spuntano le altre cime del Rosa. A nord compaiono invece tutti i 4000 del Vallese, mentre sotto di noi il ghiacciaio dei Gemelli confluisce con il Grentz e ancora più in basso con la fiumana ghiacciata del Gorner. A sinistra appare la nostra meta e dietro di essa il gruppo dei Breithorn. Con pochi sguardi abbiamo sotto agli occhi una frazione rilevante di tutto il ghiaccio Alpino. Niente male per tre aspiranti glaciologi.

Il tratto che collega il colle del Felik alla cima del Castore, è quello più delicato della salita. Il percorso segue una cresta nevosa che in un paio di tratti è abbastanza stretta e permette il passaggio a una cordata per volta. Accorciamo la cordata e partiamo. Il morale è sempre alto anche se siamo concentrati. Per Maffe e Frank è la prima volta su un ghiacciaio e qui è bene non fare errori. Ci raccomandiamo a vicenda di stare attenti a non inciampare nei ramponi e di mantenere sempre la corda tesa. La concentrazione nasconde la stanchezza e difatti non ci sentiamo per niente affaticati, anzi.

Maffe da buon fisico analizza razionalmente la realtà e mi chiede il senso di procedere in cordata su questo tipo di terreno dove è difficile sistemare protezioni tra i membri della cordata. Logica vorrebbe che fossimo slegati e che ognuno procedesse per conto proprio, in modo che la caduta di un singolo non inneschi quella di tutta la cordata. Razionalmente dovrebbe essere così, ma penso che la corda in queste situazioni non sia un mero strumento tecnico. L’esser legati è anche il simbolo tangibile del vincolo che si instaura tra i compagni di salita e credo che abbia un’importanza decisiva nella percezione della salita e della sicurezza.

Alle 8.30 raggiungiamo la cima, piantiamo le picche nella neve dura e ci assicuriamo. Vedo dalle espressioni di Maffe e Frank che sono contenti, pacche sulle spalle e gran sorrisi. Ce l’abbiamo fatta, un gioco da ragazzi!

Qualche pensiero
La gita non poteva andare meglio, tutto è filato liscio e siamo stati tutti e tre molto contenti. Abbiamo raggiunto la cima e per farlo abbiamo attraversato ambienti molto belli, senza incontrare mai troppe persone. La cavalcata sulla cresta di ghiaccio è stata la ciliegina sulla torta. Sono anche molto contento per Maffe e Frank che hanno salito il primo 4000 e per la prima volta si sono legati in cordata su un ghiacciaio. Forse qualcuno avrà mugugnato osservando la nostra cordata un po’ sgarrupata, ma a me non è importato. Siamo sempre proceduti in sicurezza e avevamo con noi il materiale necessario. Non bisogna essere alpinisti esperti per affrontare questo tipo di terreno, bisogna però avere una buona dimestichezza della montagna in senso lato, conoscere l’ambiente glaciale e percepire ciò che ci sta intorno senza avere la presunzione di avere tutto sotto controllo.

Da qualche tempo ho deciso di salire almeno una cima all’anno che richieda di affrontare un grande ghiacciaio. Lo faccio perché per chi ama la montagna, l’alta quota è un mondo incredibile e diverso. Dove i ghiacciai dominano il paesaggio valgono regole strane da quelle cui siamo abituati. Ciò vale innanzitutto per il mondo naturale poiché i processi fisici e gli ecosistemi glaciali che da essi dipendono sono del tutto diversi da quanto si osserva a quota più bassa.

I ghiacciai sono però speciali anche rispetto alla frequentazione della montagna. Per affrontarli è necessaria una certa familiarità. Bisogna avere un minimo di preparazione tecnica sull’uso dei ramponi, della picca e della progressione in cordata, e bisogna saper leggere il ghiaccio. Si deve avere la consapevolezza del percorso più sicuro, valutare le condizioni, individuare i crepacci coperti. Insomma, camminare su un ghiacciaio non è mai come camminare su un sentiero, anche considerando quelli più placidi.

Quando ci si ferma per legarsi e calzare i ramponi prima di montare sul ghiaccio, è come se varcassimo una soglia che introduce in un altro mondo. Simili rituali si affrontano anche prima di arrampicare, ma in quel caso non si percepisce uno stacco così netto tra il mondo orizzontale e quello verticale. I contrasti del mondo glaciale sono davvero unici. Inoltre, c’è anche da considerare che queste gite richiedono almeno 2-3 giorni, lo studio dell’itinerario, un minimo allenamento. Insomma, sono piccole avventure che danno grande soddisfazione.

Vi è infine un ultimo motivo che mi spinge a visitare e percorrere i ghiacciai delle Alpi. Tra pochi decenni molti di essi saranno scomparsi. Gli unici che hanno una qualche possibilità di allinearsi al nuovo regime climatico sono proprio i ghiacciai alpini che si sviluppano alle quote più alte, come quelli del Monte Rosa. Solo oltre i 3000-3500 metri la neve continuerà ad accumularsi anno dopo anno, alimentando i bacini glaciali. Tanti gruppi alpini di media-montagna hanno già cambiato volto proprio perché i ghiacciai di quelle montagne da decenni sono privi di un bacino dove la neve si accumuli e molti di essi sono inevitabilmente scomparsi.

Questi cambiamenti, in virtù di temperature rigide per buona parte dell’anno, si notano meno sulle cime più alte delle Alpi, ma so che anche questi ghiacciai tra una trentina di anni saranno diversi rispetto ad oggi. Sicuramente saranno ancora grandi ghiacciai, ma probabilmente frammentati, assottigliati e con ampie aree di ghiaccio vivo affiorante già all’inizio della stagione estiva.

Il glacialismo sta abbandonando le Alpi, solo pochi gruppi manterranno dei ghiacciai degni di nota alla fine del secolo. Affrettatevi! Vivere e osservare i ghiacciai alpini del presente non è importante solo perché domani non sarà più possibile farlo, ma anche perché vedere con i propri occhi i cambiamenti che avvengono sulle montagne è fondamentale. Averne consapevolezza è un primo e importantissimo passo.

_____
L’escursione si è svolta il 18-19 luglio 2020

foto:
1. In vetta!

2. Il Breithorn Orientale è il primo 4000 ad apparire tra le nubi durante la lunga salita al rifugio.
3. Dalla cima del Castore grandiosi ghiacciai a perdita d’occhio. Siamo davvero a poche ore da casa? Non ci sembra vero.

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Giovanni Baccolo

Giovanni Baccolo

Sono Giovanni Baccolo e mi occupo di glaciologia. Da ragazzino ho cominciato a frequentare i monti e da allora la mia passione per essi continua a crescere. Scoprire e raccontare storie nascoste tra pieghe di roccia e crepacci è ciò che mi rende felice.


Il mio blog | Storie Minerali è uno spazio dove racconto storie di natura e di uomini. Spesso sono ambientate in montagna, dove la diversità dei processi naturali è manifestata nel suo massimo grado. I monti sono libri che per essere letti richiedono passo lento e curiosità, hanno tanto da insegnare.
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