Racconto

LA MIA DANZA CON LA MONTAGNA

Quando la montagna insegna a resistere e il cammino diventa cura. La testimonianza di Eliana, affetta dal morbo di Parkinson.

testo di Eliana Guariento

La Val di San Vido
15/11/2025
3 min
È dal 10 gennaio 2014 — il giorno in cui mi è stata diagnosticata la malattia, “affetta da morbo di Parkinson” — che non ho mai smesso di camminare, soprattutto in montagna.

Tra le mie montagne, le Dolomiti, trovo pace, serenità e gioia. Mi regalano scorci indimenticabili, orizzonti sempre nuovi, mai uguali.

Quella che sto per raccontare è una delle tante storie che da allora riempiono le pagine del mio diario, un diario che spero un giorno possa diventare luce e speranza per chi, come me, vive questa stessa sfida.

Siamo pronti per un nuovo sentiero, l’ultimo tratto della Marmarole Route: dal rifugio San Marco attraverso la Val di San Vido, fino alla foresta di Somadida, nel Comune di Auronzo.
Per molti potrebbe sembrare un’escursione banale — abituati come sono a imprese straordinarie — ma per me è stata un’impresa con la “I” maiuscola.

Torniamo a quella mattina di due estati fa. Siamo saliti sulla jeep diretta al rifugio Scotter, punto di partenza del nostro cammino. Dico siamo perché non ero sola: con me c’erano Stefano e Stefania, i miei angeli custodi, due amici che mi accompagnano in ogni avventura.

Zaino, acqua, telefono: c’era tutto. Ma la mia mente era affollata da pensieri neri.
Sarei riuscita? Avrei avuto la forza di affrontare le difficoltà?
Sapevo che sarebbe stato un impegno fisico notevole. Eppure, nonostante la paura, ero determinata a provarci. Non volevo arrendermi, ma dentro di me combattevano due voci: una che mi invitava a tornare nella mia “comfort zone”, e l’altra che mi spingeva a non mollare.
Questo tratto lo desideravo da tempo: il più spettacolare dell’intero anello.
E così decisi. Dovevo farcela. Anche solo per dimostrare che il Parkinson non avrebbe avuto la meglio su di me.

Con questi pensieri, siamo partiti. E così si va!

La Val di San Vido.

Dal rifugio San Marco attraverso la Val di San Vido, fino alla foresta di Somadida.

E sulla destra, immobile e maestosa, “lei”: la Torre dei Sabbioni.

“Io credo che il cammino salverà questa società malata, perché camminare, prima di tutto, salva noi stessi”.

Quella che doveva essere una giornata speciale, però, non lo è stata nel modo che immaginavo.
A guardare indietro, potrei dire che è stata una delle giornate più dure del mio cammino. Ma quando, finalmente, raggiunsi la forcella Grande, lo spettacolo che mi si aprì davanti mi ripagò di tutto: della fatica, della paura, dei dubbi.
Quel pianoro era un sogno. L’erba, punteggiata di roccette, sembrava un cielo trapunto di stelle. E sulla destra, immobile e maestosa, “lei”: la Torre dei Sabbioni.

Non c’erano ruscelli, ma io ne creai uno con le lacrime che scendevano copiose, impossibili da fermare. Non era debolezza, ma liberazione: un fiume di emozioni che finalmente trovava sfogo.

Stefano mi incoraggiava: «Un passo alla volta, Eliana, metti solo un piede davanti all’altro».
Ma io non riuscivo più a muovere neppure un dito. Pregavo le montagne — le mie montagne — di aiutarmi, di rendersi più leggere, di accompagnarmi.
Ed è stato allora che ho sentito, dentro di me, una consapevolezza nuova: le montagne partecipavano al mio dolore, come se volessero proteggere una loro creatura in difficoltà.
Loro abbracciano, offrono riparo, insegnano.
Come scrisse Goethe: “I monti sono maestri muti e fanno discepoli silenziosi.”

E in silenzio, dopo la salita, affrontammo anche la discesa, ancora più impegnativa.
La paura cresceva, le gambe erano di piombo, la stanchezza si faceva sentire.
Arrivammo a destinazione dopo dodici ore: una giornata dura, emotivamente intensa, ma ricca — di paesaggi, di insegnamenti, di vita.

Nonostante la fatica, già pensavo a come avrei raccontato tutto al mio neurologo, che mi segue e mi sostiene con parole di incoraggiamento e di speranza.
Perché solo con il movimento, solo camminando, si può combattere questa “belva”.

Concludo con le parole di Alessandra Beltrame, che per me sono un monito e un faro:
“Io credo che il cammino salverà questa società malata, perché camminare, prima di tutto, salva noi stessi”(1).

Eliana
_____
1. Nati per camminare, Alessandra Beltrame, ediciclo editore, 2019.

2 commenti:

  1. Marina ha detto:

    Cara Eliana,
    grazie per questo tuo racconto! Meraviglioso e commovente … sembrava di stare con te sulle tue montagne!
    Sai che la frase di Goethe è quella che ho scelto per il mio profilo WhatsApp?
    E grazie anche per il suggerimento di lettura, che colgo al volo!
    Buona vita!
    Marina

  2. Tiziana ha detto:

    Grazie del bel racconto che dimostra la tua forza, la passione e la tua grande energia. Sono una grande appassionata montanara, ma ora purtroppo malata di SLA che mi ha precluso in poco tempo il camminare. Vorrei poter prendere esempio da te.
    Un caro saluto da Udine.
    Tiziana

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