Racconto

NOTTE DI NATALE A PITASTORTA

Ricordo la magia delle notti di Natale dai nonni a Pitastorta. Tutto sembrava scandito da un tempo lento e dolce, come quello di un orologio antico che osserva silenzioso le nostre vite. Ed è proprio in una di quelle notti che comincia questa storia.

testo di Teddy Soppelsa, disegni di Ennebi

23/12/2025
5 min

Buon Natale 2025

Care lettrici e cari lettori di altitudini.it,


in questo Natale vi auguriamo momenti di meraviglia e serenità, come quelli che si scoprono tra le pagine di un buon racconto.


Che il nuovo anno vi porti nuovi cammini e nuove storie da condividere su altitudini.it. Ogni esperienza, ogni parola rende più viva la nostra comunità.

 

Buon Natale e felice cammino!
Redazione di altitudini.it

È questa la notte di Natale. Domani tutti si scambieranno auguri e regali. A mezzanotte a Pitastorta è tradizione andare in chiesa per assistere alla Santa Messa.

Così fanno gli uomini da quando il tempo ha imparato a contare i suoi passi. Ma esiste anche un altro mondo, dove quella notte si carica di significati lontani dal sentire umano. È il regno del vento, della notte e delle civette.

L’orologio del campanile di Pitastorta, in quella notte di Natale, cosa strana a dirsi, sembrava fare una fatica terribile a spingere avanti i propri minuti. La lancetta dei minuti pareva quasi incollata, mentre quella delle ore si trascinava stancamente, come appesantita da uno strato di ghiaccio. La luce gialla che illuminava il campanile e l’orologio conferiva alle due lancette un aspetto di sacra solennità, rese ancora più evidenti da un tremulo filo di vento che, allegro, scendeva dalla valle.
Di quel preoccupante rallentamento, proprio nella notte di Natale, si accorse anche Giusi.

Sul bordo di un lucernaio del campanile, la civetta Giusi osservava ogni notte, con tranquilla regolarità, le monotone passeggiate delle lancette. Quella sera non era uscita in cerca di qualche topolino ancora vagante nella fredda notte invernale: aveva preferito restare lì, sola sul campanile, invece di accompagnare le sorelle a caccia sopra i tetti. Mentre apriva e chiudeva i suoi luccicanti occhietti, come solo le civette sanno fare, notò che l’orologio aveva davvero qualche problema. Si spinse allora fuori dal lucernario e, dopo pochi battiti d’ali, si posò su un ferro vicino al quadrante. Appollaiata su quel ferro — un tempo usato dagli abitanti di Pitastorta come meridiana — Giusi poteva ammirare le luci degli alberi di Natale che, senza obbedire ad alcuna legge, si spegnevano e si accendevano.

L’aria fredda e limpida permetteva ai suoi occhi di spaziare su tutto il paese. Nonostante fosse notte fonda, Giusi riusciva a riconoscere ogni cosa. Vide le solite facce trattenersi nei due bar della piazza, prima di andare a letto: qualche bicchiere di vino, una partita a carte. C’era anche chi, pur frequentando abitualmente quei bar, non giocava mai: sedeva paziente, osservando. Era uno strano pubblico, capace di suggerire mosse e appassionarsi al gioco senza mai prendere in mano le carte. Chi conosce gli abitanti di Pitastorta sa che anche questo è un ottimo divertimento.

Il vento gelido della valle trovò Giusi assorta in quei pensieri e, con un leggero buffetto alle penne lucide, la scosse, riportandola al motivo per cui era uscita dal campanile.
Si rivolse allora all’orologio e, sommessamente, quasi temendo di disturbare il suo lento lavoro, disse:
— Caro segnatempo, scusami se mi permetto, ma questa sera mi sembri un po’ rincitrullito. Per notti intere ti ho osservato muovere le tue braccia con disinvoltura, impresa degna solo dei grandi tuoi fratelli. Da anni non perdi un secondo e nemmeno lo scorso inverno, con trenta gradi sotto zero, hai dato segni di cedimento. E invece, proprio stasera, a poche ore dalla mezzanotte, sembri in seria difficoltà.

Vista la reticenza dell’orologio, Giusi fece appello alla loro amicizia:
— Dimmi, ti prego, che cosa ti sta succedendo?

Seguì un silenzio di tomba, come Giusi non ne aveva mai avvertiti, nemmeno durante quell’anno trascorso nelle soffitte di villa Corradini. Stava per supplicarlo di nuovo quando finalmente l’orologio parlò:
— Piccola Giusi, mi fa piacere che tu ti preoccupi del mio lavoro, anche se devo confessarti che parlarne, proprio nella notte di Natale, mi pesa assai. Tu sei una guerriera della notte: il tuo regno sono le tenebre e lo attraversi con la regalità propria delle civette. Puoi disporre del tuo tempo, nessuno ti giudica. La tua esistenza è fondata sulla libertà del volo, che nessuno potrà mai legare. Io invece sono una macchina creata dagli uomini, schiava del tempo. Non posso sottrarmi ad alcuna legge: devo obbedire al bilanciere, agli ingranaggi, e spingere sempre allo stesso modo le lancette. Giro notte e giorno senza tregua. Ogni minuto, ogni ora, le stesse cose, le stesse voci, gli stessi pensieri, da quel lontano 1910, l’anno in cui sono stato issato quassù. Capisci, Giusi? Sempre lo stesso tran-tran. Stasera mi sono stancato. Alla mezzanotte non arriverò. Ho deciso: mi fermerò, poco a poco, senza che nessuno se ne accorga. Solo così potrò finalmente essere libero.

Giusi ascoltò tranquilla, saltellando sul piolo di ferro. Quando l’orologio terminò, scoppiò in una fragorosa risata. Qualche abitante di Pitastorta la udì e rientrò di corsa in casa, con la pelle d’oca per lo spavento. Ripresasi, disse:
— Segnatempo, poco fa ti ho chiesto se fossi rincitrullito, ma non avrei mai pensato che il vento della valle ti avesse gelato anche il cervello. Non discuto che tu sia vecchio e stanco, magari con un po’ di arteriosclerosi — ce l’ha persino don Anselmo, che è più giovane di te — ma questa è davvero un’idea folle. Anche ammesso che tu riesca a fermarti, quanto credi di restare libero? Uno o due giorni, finché un uomo non salirà quassù. Se sei ancora in gamba ti ripareranno e riprenderai il solito tran-tran. Se invece sei davvero alla fine, ti sostituiranno con un fratello più giovane. Gli uomini non permettono che una loro macchina smetta di funzionare: ne va del loro orgoglio. Tu sei uno strumento del loro potere. Se ti fermi, sconvolgi la loro esistenza. Da tempo hanno rinunciato all’istinto per delegarlo alle macchine. E tu, nonostante tutto, hai un compito insostituibile.

Mancava mezz’ora alla mezzanotte. L’orologio, pur condividendo il pensiero di Giusi, restava fermo nella sua decisione.
— Sei saggia, Giusi, e il regno delle civette può essere fiero di te — rispose — ma sei troppo giovane per comprendere la complessità del mondo, dove anche l’impossibile può diventare possibile. Non è una decisione improvvisa: ci penso da tempo. E ora vedrai di cosa è capace un vecchio, arrugginito orologio.

La lancetta dei minuti si avvicinò stancamente alla mezzanotte. Poi, di colpo, si fermò. E tutto tacque. Non solo l’orologio, ma l’intero paese rimase immobile, senza tempo. Gli alberi di Natale rimasero come erano: spenti o accesi. Un uomo uscito dal bar restò fermo sulla strada, la mano alzata nel gesto di salutare un’auto che non passò mai.

A Pitastorta, in quella notte di Natale, non nacque nessun Bambin Gesù. Don Anselmo non entrò in chiesa, non si levarono canti né suonarono campane. Il tempo si arrestò un istante prima di diventare festa, come se avesse voluto ascoltare se stesso.
Molti, negli anni, si sono chiesti che cosa accadde davvero quella notte. Alcuni parlarono di un guasto, altri di un prodigio. Ma forse nessuno pensò che il tempo, per una volta, avesse semplicemente smesso di correre. Solo Giusi comprese.

Comprese che gli uomini credono di possedere il tempo perché lo misurano, ma in realtà ne sono inseguiti; che più cercano di afferrarlo, più esso li allontana da ciò che conta. E che perfino una macchina, nata per obbedire, può insegnare il valore della disobbedienza.
Giusi non lo raccontò mai a nessuno. Sapeva che certe verità non vanno spiegate, ma vissute.
E così, ogni volta che penso alla notte di Natale, ricordo che la vera magia non sta nel correre dietro al tempo, ma nel saperci fermare, nell’assaporare i gesti semplici e l’affetto di chi ci ama, proprio come quando da bambino andavo a trovare i nonni a Pitastorta.

Teddy Soppelsa

Vive a Cesio Maggiore nelle Dolomiti Bellunesi. Ha fondato la rivista altitudini.it e ideato il Blogger Contest, scrive di montagna, alpinismo e ambiente. Ha ideato diversi progetti culturali capaci di unire le emozioni della scoperta alla conoscenza dei luoghi. Ama camminare nei luoghi più selvaggi delle sue valli, fuori traccia, in ogni stagione, meglio se in compagnia.


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