Racconto

Perdersi

testo e foto di Roberto Francalanci

30/12/2018
5 min
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Ricordo ancora l'incendio del Monte Argentario del '66. Continuò a bruciare per giorni.

C’ero stato con i genitori a cercare funghi giusto la settimana precedente e che dolore vederlo ridurre a una sorta di monte calvo da piromani al soldo di impresari opportunisti. È rimasto selvaggio nonostante le ville costruite sui rari accessi al mare. E quando uno pensa a una terra inospitale, non importa andare tanto lontano, basta andarci quando non c’è nessuno. Girare intorno a una montagna vicino al mare non pareva una cosa tanto difficile, avevo già effettuato il periplo del promontorio in compagnia del solito amico. Ripetere una esperienza è fattibile, può essere piacevole e mi serve a capire se ancora ce la posso fare.

Dopo il viaggio in auto con le bici abbiamo otto ore di luce autunnale; la volta precedente abbiamo fatto il giro in meno di sei ore, la giornata è limpida, senza troppo vento, ideale per le fotografie, sembra facile. La prima parte è dura, si sale di 300 o 400 metri, scatto belle foto, poi il compagno di avventure va avanti e lo perdo, lui continua pensando mi sia solo attardato.
Di colpo tutti i mezzi a disposizione fanno cilecca. Il cellulare non prende, sono sprovvisto di una decente mappa del territorio, non c’è nessuno a cui chiedere e l’assenza di cartelli completa la non felice situazione. Con un pizzico di nostalgia mi torna in mente una vacanza in Sicilia in Agosto durante la quale non importava avere mappe, i cartelli stradali non servivano poiché all’angolo di ogni strada potevo trovare qualcuno a cui chiedere informazioni.

Tocco con mano i miei limiti. Uno di questi è sopravvalutare le proprie possibilità.

Non trovo la strada giusta e percorro avanti e indietro le stesse strade e ogni volta sembrano non portare da nessuna parte. Salgo in alto, trovo una mappa su un cartello stradale, ma non mi aiuta ad orizzontarmi, non ci sono riferimenti alla destinazione che desideravo. Mi metto in contatto con l’amico, lui è molto più avanti. Decido di tornare indietro calcolando di arrivare prima del buio, senza percorrere la stessa strada, utilizzando una scorciatoia di alcuni chilometri.
È una sfida contro il tempo. Trovo delle auto, provo a chiedere un passaggio a tecnici Telecom su un grosso furgone e farmi caricare anche la bici, niente da fare, non possono caricare estranei. Tocco con mano i miei limiti. Uno di questi è sopravvalutare le proprie possibilità, come coloro che si procurano infortuni sentendosi fin troppo sicuri di sé.

Devo constatare i limiti di un ambiente lasciato selvaggio affinché i pochi proprietari delle ville miliardarie possano stare tranquilli nel periodo estivo. In quella sera autunnale non ho trovato una sola abitazione con segni di vita.
Intanto faceva freddo, per fortuna avevo portato nelle sacche della bici kway e abbigliamento aggiuntivo, mi copro e continuo a pedalare, ho già percorso 60 km, la stanchezza mi impone di rallentare l’andatura, nelle salite scendo e spingo la bici, ho finito l’acqua, la morsa della sete è tremenda. Calcolo che mancano ancora dieci chilometri al paese dove abbiamo lasciato l’auto.
Sono esausto, non passano più auto, sono ancora in una zona senza rete cellulare, intorno a me solo qualche villa senza abitanti dentro.

Mi è anche arrivata una consapevolezza: non ci si può ritrovare, se non ci si perde.

Faccio la foto di un bellissimo tramonto, mentre penso a una possibile notte all’addiaccio. Mi viene da guardare in un fosso, e sembra una cosa impossibile, ma vedo un bottiglietta da 500 ml di acqua. È piena e sigillata. Non so cosa pensare. Sembra un segno del destino, una sorta di risposta alla mia richiesta di aiuto. Mi disseto un po’, poi riparto per l’ultima interminabile salita. Dopo mi aspetta una lunghissima discesa. Finalmente mi ricongiungo al compagno di viaggio, tento di spiegargli dove mi sono perso, gli faccio vedere le foto del bivio incriminato, non capisce dove può essere, sono curioso anche io, tento di capirci qualcosa. Sono dettagli. Quel che conta è che tutto è finito bene, in una pizzeria a poche decine di metri dal parcheggio dell’auto.
Una prova di resistenza fisica e mentale mi ha segnato, ricordandomi di rispettare i propri limiti. Mi è anche arrivata una consapevolezza: non ci si può ritrovare, se non ci si perde.

Roberto Francalanci

Si è sposato, ma non laureato; diplomato ragioniere, è diventato il suo mestiere, dal lavoro si è ritirato senza essere pensionato, con blog, social, corsi e concorsi a scrivere si è dilettato, tre libri al suo attivo.


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