Racconto

#58
QUOTA 2019

C’era un silenzio alieno nel parcheggio del vecchio hotel Reinterkopf. In cielo, le stelle sopra cima Cava, ad ovest, fuggivano lentamente dal bagliore proveniente dalla val Trebbiana.

testo e foto di Leonardo Omezzolli  / Arco (TN)

La notte fa sue le speranze e le paure
25/01/2022
9 min
Marco_Rossignoli_014

Quota 2019

di Leonardo Omezzolli

C’era un silenzio alieno nel parcheggio del vecchio hotel Reinterkopf. In cielo, le stelle sopra cima Cava, ad ovest, fuggivano lentamente dal bagliore proveniente dalla val Trebbiana, un lembo di terra chiuso tra il monte Antermoier e le dolomiche cima Porter e cima Meier.

Su quel che restava del Reinterkopf, arso dalle fiamme circa dieci anni prima, si era depositata a inizio settimana una soffice coperta di neve. Glacialmente candida e apparentemente cotonata. Riccardo e Virginia avevano parcheggiato da pochi minuti il loro amato van, acquistato con sforzi comuni tre anni prima. Motore spento, luci di posizione accese e un bagliore che dall’abitacolo colorava soffusamente l’ambiente. Virginia spense la radio. Riccardo indietreggiò il sedile e senza voltarsi del tutto si mise a recuperare una borsa contenente gli scarponi. Virginia prese i propri per indossarli. Fuori una decisa brezza smuoveva le chiome di larici e lecci. Poco più in profondità nel bosco pini e abeti accennavano saluti del capo per riconoscenza.

Riccardo e Virginia erano fidanzati da sette anni. Lo erano stati fino a poco tempo prima. Sempre insieme, l’uno per l’altra. Si amavano. Era questa la certezza di chiunque li avesse conosciuti.
Virginia aprì la porta del van. «Andiamo?».
«Sì». Aveva risposto Riccardo.

Erano state le prime parole che i due si erano scambiati in quella fresca mattina di febbraio. Non si sentivano da circa una settimana quando lui se ne era tornato a casa dei suoi. C’era stato un forte litigio. Uno scontro verbale importante; uno di quelli in cui ad un certo punto l’esasperazione, la fatica del confronto, l’impossibilità di ammettere le proprie colpe o le proprie esagerazioni, avevano impresso l’apoteosi dell’orgoglio fossilizzandolo in brutali smorfie, in acide congetture e in vomitevoli, tardive, manifestazioni di insoddisfazioni passate. Mai si erano spinti tanto oltre.

L’uscita era stata programmata da mesi. Era il coronamento di un loro sogno comune: raggiungere cima Meier in invernale. La montagna li aveva fatti incontrare, frequentare e infine innamorare.
Quella mattina Riccardo aveva deciso di rispettare il programma. «Io passo da lei – si era detto -. Se c’è, bene. Altrimenti la vetta me la conquisto da solo».

Virginia non aveva dormito. Nella testa un turbinio di pensieri. «Quella cima ci spetta. A tutti e due – si era detta nell’inquietudine della notte -. Non so che ne sarà del nostro domani, ma lassù dobbiamo portare il nostro presente, fiero vessillo delle fatiche e della passione di questi anni».

Riccardo si fece trovare sotto quella che era stata la loro casa con mezz’ora d’anticipo e lei era già lì, con lo zaino pronto e il cappuccio in testa a proteggerla dalla fredda aria notturna.
Sul volto di Riccardo, lo stupore di rivederla si era tramutato in fierezza e stima per una donna che davanti a tutto sapeva mantenere la bussola.
Virginia aveva riconosciuto il motore del loro van prima ancora di vederlo. Il cuore, da inquieto per quell’incognita che avrebbe segnato inevitabilmente il loro comune destino, le si era ammorbidito. Rilassato nella sicurezza di una certezza che, nell’animo, era prezioso tesoro e, nella mente, spietata assassina.

Virginia andò diretta al portellone posteriore, lo aprì e ci mise la sua attrezzatura. Aveva appoggiato lo zaino ai piedi della panca in legno costruita da loro con materiale di recupero e che all’occorrenza fungeva da letto a due piazze. Su di una gamba di quella panca si poteva ancora vedere un adesivo di un non leggendario supereroe che aveva poi dato il nome al loro van: Deboroh “La Roccia”.

“L’uscita era stata programmata da mesi. Era il coronamento di un loro sogno comune: raggiungere cima Meier in invernale.“

Dopo tutto cambia

Virginia era salita a bordo dal lato passeggero, davanti, e quando chiuse la portiera Riccardo aveva già inserito la prima e fatto ruggire Deboroh verso la meta. Erano le 3.30 della mattina. Per circa due ore non si sarebbero scambiati nessuna parola. L’uno a fissare la strada gracchiando di tanto in tanto le marce basse di Deboroh. L’altra, col gomito sul lembo di lamiera che ingoia il finestrino, a guardare attraverso il riflesso delle luci notturne, immersa in chissà quali pensieri.

Arrivati al Reinterkopf si erano vestiti e avevano controllato l’attrezzatura.

Riccardo guardava verso la val Trebbiana in direzione di quella cima che di lì a poco avrebbero provato a conquistare. Sul cocuzzolo aleggiava ancora una fitta coltre di nuvole mattutine che, col sorgere del sole, se ne sarebbero dovute andare; o almeno era quello che assicurava l’ultimo bollettino meteo.

Virginia lo chiamò. «Facciamo un piccolo ripasso del percorso?».
«Certo». Le aveva risposto Riccardo.
Virginia aveva estratto una mappa cartografica dallo zaino e l’aveva appoggiata sul cofano del van. Tra fiumi, strade e sentieri, a serpeggiare sull’incarto della Tabacco 1:25.000, intersecando le concentriche isoispe, spiccava un tratto rosso acceso, tracciato con un indelebile durante le nottate di studio e preparazione che Virginia e Riccardo avevano passato insieme prima di tentare, quel giorno, l’ascesa invernale. C’erano anche delle scritte, Informazioni essenziali per ridurre al minimo i possibili pericoli e rischi.

«Pronta?». Le aveva domandato Riccardo.
Virginia si era limitata ad accennare un sorriso con le labbra e ad annuire.

Si misero in marcia. La prima ora era passata serenamente. Una salita non troppo impegnativa all’interno di un fitto bosco di conifere. Il sentiero ben visibile non presentava eccessive difficoltà. La neve non era poi molta al suolo. Solo in un paio di passaggi Virginia e Riccardo si erano trovati a dover affrontare alcuni pezzi a strapiombo. Vecchi tracciolini ricavati, ancora nell’800 e a suon di piccozze, nella roccia montana.
Poco sopra la linea degli alberi la neve si era impadronita del paesaggio. Virginia e Riccardo avevano fatto una piccola pausa. Entrambi avevano recuperato dagli zaini i ramponi e si erano concessi una tazza di infuso caldo.
Stavano per affrontare la prima scalata del percorso.

«Sei sicura?». Le aveva chiesto Riccardo.
«Sì, l’abbiamo pensata così. Dobbiamo farla così».
«Lo so, ma era solo un mio vezzo – aveva precisato Riccardo -. Possiamo proseguire lungo il 636 fino al 275. L’allunghiamo solo di un’ora».
«No, Riccardo – aveva risposto nettamente Virginia -. Sai benissimo che un’ora fa la differenza. Scaliamo la parete e raggiungiamo direttamente il 275. Sono solo 40 metri».

Per ridurre i tempi Riccardo e Virginia avevano deciso di scalare una vecchia via, già chiodata e ben nota, che dal sentiero 637 li avrebbe portati sul 275 evitando di raggiungere lo stesso punto passando da dietro lo sperone di roccia calcarea.
Il tiro era di 36 metri. Cento metri di corda singola erano nello zaino di Riccardo mentre altri sessanta in doppia in quello di Virginia. Riccardo aveva sbrigliato la singola e indossato l’imbrago. Virginia nel frattempo preparava i rinvii e qualche chiodo da ghiaccio. La falesia in questo momento dell’anno era in parte ricoperta di ghiaccio sebbene la maggior parte delle chiodature “estive” fosse ancora visibile ed utilizzabile.

«Vado io, va bene?». Aveva chiesto Riccardo.
«Se ti va di rischiare la tua vita lasciando me a farti da sicura…» gli aveva detto Virginia lasciando la frase sospesa.
Ci fu silenzio. In molti vi avrebbero letto l’affondo di una donna ferita, la rabbia che cominciava a montare, la voglia di vendetta. Era invece la più classica delle battute di Virginia. Ed era proprio quella sua naturalezza, quella normalità ritrovata che aveva lasciato Riccardo ammutolito. Sembrava che tutto procedesse normalmente, come se la litigata, la lontananza, i silenzi e tutto quel peso non risolto, non fossero mai avvenuti.
Virginia lo aveva poi tolto dell’imbarazzo proseguendo nel suo gioco verbale.

«Quindi posso usare il secchiello o vuoi che usi il gri-gri?».
«Secchiello sia!» Aveva sorriso Riccardo.

“Erano tornati a chiamarsi con quei diminutivi che erano soliti usare quotidianamente e lei le aveva dato la sua completa fiducia.“

Nel silenzio

Là nel bosco

La salita “di prima” era avvenuta con molta concentrazione. Riccardo e Virginia si scambiavano continui suggerimenti, consigli e idee per chiudere in fretta la parete. In soli venti minuti Riccardo era arrivato alla sosta. Da lì aveva iniziato a recuperare Virginia.
«Senti – aveva detto Riccardo in direzione di Virginia -. Non credi che dovremmo parlare di quanto successo?».
«Sei serio? – Gli aveva ribattuto Virginia -. Mentre sto salendo una parete di ghiaccio?».
«È solo che credo che dovremmo capire quel che è successo».

Virginia era arrivata anch’essa alla sosta. Su quello stretto lembo di roccia i due erano faccia a faccia con le punte dei nasi a sfiorarsi. Una tensione ormonale e profonda faceva fremere i loro corpi.
«Dovremmo parlarne dopo». Aveva detto lei con voce tenue.
«Hai ragione». Le aveva risposto lui altrettanto dolcemente.

Dal 275 si proseguiva per altre due ore fino a quota 4019 slm. Di metro in metro la via scompariva nel candore delle nuvole che non accennavano a diradarsi. Un freddo vento soffiava da nord-ovest verso sud-est spazzando la via con folate di neve ghiacciata. Per due ore Virginia e Riccardo erano rimasti fedeli al piano. Si erano legati per maggiore sicurezza ed erano riusciti a procedere nonostante le intemperie.
Si erano fermati come prestabilito prima di affrontare gli ultimi 700 metri di dislivello. Erano affaticati e affamati. Virginia aveva preparato dell’orzotto.

«Ne vuoi un po’?». Aveva chiesto Virginia a Riccardo.
«Mi sono fatto dell’orzotto anch’io» Le aveva risposto.
«Mangia il mio e conserva il tuo nella thermos».
«Va bene – aveva accettato Riccardo -. Però…».
«Non ora Riccardo. Prendiamoci questa vetta».

Erano nuovamente legati. Il vento soffiava con sempre più insistenza e le nuvole non se ne erano ancora andate.

«Virgi!? Ce la fai?». Le aveva chiesto Riccardo dopo mezz’ora di progressione.
«Sì! Hai visto che laggiù ci sono dei seracchi?».
«Sì. Sono proprio sul nostro percorso. Cosa facciamo?».
«Secondo te li possiamo salire?».
«Credo sia troppo rischioso Virgi. Possiamo provare ad aggirarli, che dici?».
«Va bene Riky, mi fido di te».

Erano tornati a chiamarsi con quei diminutivi che erano soliti usare quotidianamente e lei le aveva dato la sua completa fiducia. Riccardo conduceva Virginia a destra dei seracchi. L’idea era quella di aggirarli trovando una nuova via.

Nevicava mentre il vento era sempre più sostenuto. Riccardo si fermò di colpo.
«Che succede?». Aveva chiesto Virginia.
«Qualcuno è già passato di qui e ha lasciato una corda per aggirare il seracco più grande».
«Bene, proviamoci!».

Virginia e Riccardo fendendo il ghiaccio con piccozze e ramponi avevano superato l’ostacolo. Li aveva pervasi un’onda di adrenalinico tepore. L’aria gelida non sembrava più così pungente. Dandosi man forte e con rinnovata energia avevano macinato le ultime decine di metri con sorprendente velocità. In meno di un’ora erano a pochi passi dalla vetta.
Virginia strattonò la corda. Riccardo che le era davanti si era prontamente voltato. Lei le aveva fatto cenno di aspettarla. Lui l’aveva attesa. Lei le aveva preso la mano e insieme passo dopo passo erano arrivati sulla sommità di cima Meier.

Virginia era in lacrime. Avevano portato a termine il loro sogno, insieme. Avrebbe voluto dirgli quanta confusione c’era in lei. Che sì, erano in vetta, ma come per la loro storia, ora non restava che la discesa. Perché tutto si era già consumato. Avevano insieme affrontato le sfide che il loro rapporto poteva affrontare. Erano arrivati là dove molti non erano mai stati. Avrebbe voluto dirgli che non era sua la colpa, che era lei che era cambiata, che era lei che non voleva più quel rapporto. Che era lei che lo aveva esasperato. Erano cambiati e ora dovevano affrontare un nuovo cammino, separatamente. Ognuno verso una nuova vetta. Avrebbe voluto dire tutto questo, ma era riuscita solo a baciarlo intensamente.

Pochi minuti dopo erano già sulla via del ritorno. Era stata una discesa piuttosto semplice. Il vento si era placato e il cielo era terso. Arrivati alla falesia si erano detti di voler chiudere in bellezza con una calata in corda doppia, in contemporanea. Virginia e Riccardo avevano preparato tutto. Poi, da quel lembo di roccia a quota 2019 metri slm avevano iniziato a calarsi, sorridendo.

Un gruppo di uccelli aveva improvvisamente lasciato il riparo degli alberi volando in alto, come spaventati da un grido profondo. Impercettibile si era udito il frusciare di una corda. In fondo alla via, sulla neve e sull’acqua ghiacciata non c’era alcuna traccia di vita.

Virginia e Riccardo erano,

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Leonardo Omezzolli

Leonardo Omezzolli

Sono un giornalista freelance, un alpinista e un velista. Mi occupo di comunicazione e per passione e lavoro racconto storie.


Il mio blog | Ho un blog personale in cui racconto di escursioni per famiglie (quelle che faccio con la mia compagna e la mia bambina di 2 anni), ma anche racconti, articoli, pensieri e opinioni.
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