Nella sua penombra, avrebbe detto l’attuale proprietario e guida, i maschi della sua famiglia, per molte generazioni, avevano passato anni per proteggersi dalla faida. Un’usanza, la presa del sangue, che a differenza dei volgari assassinii d’onore che falcidiavano le famiglie rivali in altre parti del mondo emanava un fascino tanto terribile quanto indiscutibile. Era regolata, anzi ritualizzata nei minimi dettagli dall’antica legge delle montagne, il Kanun, come del resto quasi ogni aspetto della vita. Le vaghe allusioni al fatto che, forse, quel passato non era del tutto finito, facevano rabbrividire ogni straniero.
Prima di cena c’era tempo per una birra fresca in un chiosco, dove la tv riproponeva i canti tradizionali nella loro versione di video turbo-folk, pieni di auto di lusso, ragazze seminude e bandiere con l’aquila bifronte.
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La pista costeggiava il letto di un torrente inondato da un sole autunnale ancora implacabile. I mocassini di Zef saltellavano tra le pietre irregolari mentre il vecchio avanzava, senza bagaglio, con solo una giacca di tela appesa distrattamente a un dito. Intanto, le Montagne Maledette, sempre aspre, si facevano più verdi e ombrose.
Aguzzando la vista fu possibile infine scorgere le sparse case di K. arrampicate lungo il versante, fino ai piedi delle pareti rocciose, camuffate da alberi da frutta e covoni di fieno.
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Era stata un’anziana studiosa straniera a darmi, per un caso inaspettato, la possibilità di sbirciare oltre la cortina che inevitabilmente si costruisce, da entrambe le parti, attorno al visitatore. La donna, che avevo conosciuto in città, mi voleva coinvolgere in un progetto europeo su sostenibilità ed educazione nelle montagne a cui aveva dedicato tutta la sua vita.
Ricevuta però una notizia inaspettata, dovette partire in fretta e furia, non prima di avermi consegnarmi, senza tanti complimenti o spiegazioni, a una famiglia di montanari suoi amici, di un villaggio dei più sperduti. Si trovavano per qualche mese in città ma il capofamiglia, Zef, si offriva di portarmi a K. non appena il tempo fosse migliorato.
Ero diventato un ospite, inteso alla vecchia maniera: qualcosa di estremamente importante a cui aprire, letteralmente, le porte delle case delle montagne del nord. Una fortuna che aveva tuttavia un risvolto quasi grottesco: Zef parlava solo albanese, e anche se quasi tutti gli altri, nelle montagne, sapevano l’italiano o il tedesco nessuno traduceva nulla. Meglio non intromettersi in questioni di ospitalità. In quei giorni di immersione nelle terre alte ero solo un testimone sordo.
Guardavo. Difficilmente gli escursionisti avrebbero scoperto che al tempo delle nostre visite, nel 2017, la faida, lungi dall’essere una sorta di attrazione turistica, incombeva ancora su circa un terzo delle famiglie di quelle montagne. Anche, e soprattutto, a Theth. Magari proprio dietro quelle finestre dagli scuri socchiusi accanto al bed and breakfast. Non l’abbellivano canti o torri, c’erano solo poliziotti che sanno e non sanno, assistenti sociali e associazioni umanitarie, mentre le donne – le uniche, almeno secondo la vecchia legge, risparmiate – si sobbarcavano tutto il peso del lavoro e dell’onore dei maschi.
Io tutto questo lo vedevo, anche se, sprovveduto com’ero, i mille dettagli, gli sguardi, le assenze, si sarebbero messe insieme solo a rientro avvenuto, dopo lunghe e pazienti spiegazioni. Ed è stato meglio così. Certe cose vanno lasciate ad altri.
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I tre fratelli, riuniti intorno alla tavola di legno, alla fiamma viva di una candela, sembravano briganti nel loro covo. Le loro ombre tremolanti sulla parete, mentre ingurgitavano il pasto di peperoni, carne, patate, e formaggio, erano enormi. L’acquavite gli bagnava i baffi e l’odore del fuoco impregnava l’aria.
L’elettricità, si badi bene, c’era già da mezzo secolo, ma i blackout erano sempre frequenti. Le candele illuminavano la stanza decorata di immagini sacre, vecchie fotografie, lo schermo di un grosso televisore sintonizzato, c’è da scommetterci, sulla televisione italiana. La gusla con Skanderbeg intagliato sul manico, appesa a un chiodo, sembrava sul punto di intonare una delle sue ballate.
Tutto era come nel bed and breakfast di Theth, ma diverso.