Arrampicare sottobraccio alla paura

La mia Fiat 500 ci aveva portati a Gardeccia, iniziammo a camminare verso l’alto...

testo e foto di Gabriele Villa

Prime esperienze sulla ferrata Cesco Tomaselli alla Cima Fanis Sud nel 1974.
21/11/2017
4 min

La mia Fiat 500 ci aveva portati a Gardeccia, iniziammo a camminare verso l’alto, mentre i dubbi si affastellavano nella mente, era la lotta tra una decisione oramai presa e l’incertezza di affrontare qualcosa di sconosciuto: una scalata in cordata. La prima della mia vita!

Quei pensieri presero corpo lassù, quando, al sole, apparve lo spigolo della Torre Delago.
Continuai a camminare assieme a Giulio, mio spensierato cugino, e al nostro giovanissimo capocordata Giorgio. Avevo voluto mettermi alla prova? Era un volere spavaldo di dimostrarmi forte? Era una sfida? Non lo sapevo.
Cresciuto orfano dall’età di due anni, non avevo avuto un padre a consigliarmi, a infondermi sicurezza, con il quale scontrarmi nell’età in cui bisogna uscire dall’adolescenza, diventare “grandi”. La conseguenza fu che non ho mai posseduto la baldanza per concedermi alle sfide, cercavo solo di sbagliare il meno possibile, non sempre riuscendoci, come quella volta, quando con alcuni amici di montagna andammo alle cascate del Ru delle Nottole.

Cittadino diciassettenne mi ero lasciato convincere a risalire il fianco della cascata, un pilastrino di roccia alto una decina di metri accontentandomi di un “l’è fàzile”.
All’inizio lo era e lo fu fino al punto in cui, spaventato, volli scendere, ma non era più possibile.
Una traversata conduceva al letto del torrente, gli amici esperti passarono lesti, io insicuro scivolai, mi fermai spalmando il corpo sulla roccia. L’acqua della cascata cadeva dieci metri sotto, vi sarei finito dentro, sarebbe stata la morte. Forse mi crebbero gli artigli, o più semplicemente un flusso di adrenalina mi diede la forza per aggrapparmi e trascinarmi fuori da quella trappola.
Avevo salvato la pelle, mi rimasero impressi il terrore dell’acqua e la paura del vuoto.

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La conseguenza fu che non ho mai posseduto la baldanza per concedermi alle sfide, cercavo solo di sbagliare il meno possibile.
Sono all’attacco della Delago, era il 15 agosto del 1975: quel giorno, senza nemmeno rendermene conto, ho affrontato la sfida più importante per la mia vita alpinistica. Oggi lo so, anche grazie al Blogger Contest 2017. Torre Piccola – 2011: la foto rappresenta bene il mio rapporto con la montagna alla quale sono legato da molto affetto e a cui devo grande riconoscenza.
Sono all’attacco della Delago, era il 15 agosto del 1975: quel giorno, senza nemmeno rendermene conto, ho affrontato la sfida più importante per la mia vita alpinistica. Oggi lo so, anche grazie al Blogger Contest 2017. Torre Piccola – 2011: la foto rappresenta bene il mio rapporto con la montagna alla quale sono legato da molto affetto e a cui devo grande riconoscenza.

Nella vita seguente, all’acqua fu facile sfuggire, con la paura del vuoto invece mi sarei scontrato qualche anno dopo quando gli stessi amici con cui avevo trascorso le estati iniziarono a dedicarsi all’arrampicata e io stesso, per motivi che non capivo, ne ero attratto fortemente.
Provai salendo con loro la via normale al Civetta fino al Torrani, scendendo poi ridicolmente seduto per sfruttare l’aderenza del sedere, mi spinsi sulla ferrata Tomaselli, ma la paura fu padrona, mi rendeva goffo nei movimenti, toglieva il divertimento della salita, soffocava la soddisfazione della vetta. Per vincere la frustrazione, in quell’agosto del 1975, chiesi a Giorgio di accompagnarmi in un’arrampicata di secondo, massimo terzo grado, ricevendone prima un rifiuto, poi una controproposta: via Piaz allo spigolo della Torre Delago.
Prima ne fui terrorizzato, infine accettai a denti stretti e la discesa in corda doppia la imparammo, il giorno prima della scalata, io e Giulio, scendendo dal terzo piano della tromba delle scale delle scuole di Piaia. Senza imbragatura, senza conoscere le manovre, con i pantaloni di velluto a zampa d’elefante rimboccati al ginocchio, ma con una forza interiore che mai avevo sentito così forte, al punto da farmi accettare lo sconosciuto di quella scalata che portai a termine con il cuore in gola.

C’è voluto un Blogger Contest, dopo quarant’anni, a farmi rielaborare quell’avventura vissuta in un altalenare tra paura e determinazione.
Non fu una sfida baldanzosa, ma sofferta, una prova necessaria per sconfiggere la paura irrazionale che mi soggiogava da quel giorno in cui avevo rischiato la vita alla cascata.
Mi accarezza il pensiero che sullo spigolo della Torre Delago potessi avere mangiato la carne dell’orso, e di certo fu aspra. Oggi quel sapore si è fatto dolce nella consapevolezza che quel giorno avevo iniziato ad arrampicare cominciando ad imparare che avrei dovuto avere il coraggio di prendere sottobraccio la mia paura.

Gabriele Villa

Frequento la montagna fin da ragazzo come escursionista, ciaspolatore, arrampicatore. Come Istruttore di alpinismo ho operato nel CAI per una quarantina d’anni. Amo scrivere per raccontare cose di montagna e assieme ad amici gestisco il sito intraigiarùn che vuol essere un invito e uno stimolo alla scrittura.


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