Vano è inseguire, all’alba, il fresco sospiro della notte per sentieri, valli e boschi. Il suo strascico d’ombra cela il mistero di sabba e orge solstiziali, di radiazioni lunari dagli argentei filamenti – sostanze magnetiche assorbite dai mondi vegetali, foriere di febbri di lattici e linfe, di giochi di nettari e viticci avvinghiati a ragnatele negli angoli umidi dei prati.
Nell’afa luminescente della notte si agitano insonni simboli viventi di morte e resurrezione: le ife dei funghi ai piedi dei castagni ubriache di rugiada, i germogli di vetro verde dei faggi, a centinaia punteggianti di riflessi minuti il bruno scuro della terra, il baluginare spettrale di qualche lucciola in amore. Più in alto, dove la tenebra si libera finalmente dall’abbraccio soffocante del bosco, sui pianori carsici e i prati asciutti dei versanti, l’aria nera e rorida si stempera frizzante tra le ruvide fratture dei campi solcati.
Scheletri calcarei di giganti preistorici, vertebre e denti innumerevoli del pianeta stesso, rilucono biancastri alla luce della luna. Qui i venti notturni dell’alpe sono mossi e abitati come da spettri dai pollini di essenze circumboreali, confinate su queste cime da chissà quale remota glaciazione: fioriture rade e minute, calici panciuti dai colori accesi, petali pingui ricoperti da soffici pelurie, fiori come escrescenze cristalline dei calcari stessi. Questa è la notte dell’alpe: nera e tempestata di stelle diamantine, i gioielli perduti dall’uomo metropolitano avvezzo ormai a cieli sabbiosi e opachi.
Oggi inseguo il ricordo della notte appena passata alla ricerca di quelle gemme preziose, le fioriture delle nostre montagne. Mentre sfumano come sortilegi le ombre d’aurora incalzate dal carro solare, mi incammino alla volta degli aridi regni prealpini. Parto da casa prendendo la via del castagneto, cominciando la salita lungo mondi altitudinali e orizzonti vegetazionali, pensando quasi a viaggi iniziatici di sciamani o di ottocenteschi pionieri della botanica dai nomi polverosi – in ogni caso, questa sarà anche una ricerca di simboli attraverso la bellezza. Mi lascio alle spalle le familiari selve di castagno inoltrandomi nella quiete cupa della faggeta, dove enorme e maestoso attende un primo guardiano della soglia.