Reportage

GIULIO, IL CUSTODE DEI BELLOTTI

Siamo ai Bellotti, alle pendici orientali del monte Coppolo, antica borgata del Comune di Lamon. Giulio Tollardo, unico abitante, è il protagonista di questo luogo "amalgama di tanti altri luoghi".

testo di Luana Bendo

25/02/2024
10 min
In una mattina di inizio anno, non troppo fredda, Giulio ci accoglie a casa sua con un buon caffè di moka, il cui profumo ti entra nelle narici e ti fa immaginare ancora più distintamente i luoghi che ci racconterà per un paio d’ore.

Una mattina di profonda verità e apertura sincera, come non se ne trovano più.
Siamo ai Bellotti, alle pendici orientali del monte Coppolo, antica borgata del Comune di Lamon, sul confine tra Veneto e Trentino, ma potremmo essere ovunque. Non siamo lontani nemmeno dalla via Claudia Augusta, che dall’Adriatico e dalla pianura padana attraversava le Alpi fino a giungere in Austria e Germania. Giulio Tollardo, unico abitante della borgata, è il protagonista di questo luogo “amalgama di tanti altri luoghi”, una sorta di melting pot culturale, perché Giulio ti porta dai Bellotti a tutto il mondo nell’arco di poco tempo.

Ma torniamo qui dove il torrente Vanoi incontra il Cismon: lasciamo l’auto all’imbocco della vecchia strada de la Cortella che univa il Feltrino alle valli del Vanoi, attraversiamo uno stretto ponte sospeso e iniziamo a salire lungo il sentiero, el troi dei rais, dove le radici degli abeti diventano punti di appoggio nella costante, ma dolce salita.

La prima borgata che si incontra, i Marsanghi, vi abita solo Adriano e un bel gatto grigio, molto affettuoso e ben nutrito, che accompagna i pochi e fortunati turisti fin su da Giulio. Al bivio si può proseguire a sinistra verso Pugnai, altro gruppo di case disabitato. Ancora un tratto di strada in salita nel bosco, superiamo una piccola valle e siamo sui ripidi prati dei Bellotti.

Il bosco dei Bellotti dopo il passaggio di Vaia.
L'abitazione di Giulio
Maria Bellotto, fine anni '70
Ernesto Bellotto, fine anni '70
Maria Bellotto, fine anni '70
Maria Bellotto, fine anni '70
I fratelli Maria ed Ernesto Bellotto, gli ultimi abitanti storici dei Bellotti, fine anni '70

Qui Giulio ha passato anche diversi mesi senza parlare con anima viva.

Ieri novanta famiglie (quasi centocinquanta persone), oggi solo una persona.

Giulio è del ‘56, originario di Lamon, tecnico di laboratorio medico tra Feltre e Belluno, arriva qui ventisei anni fa dopo una profonda crisi. Va in Spagna, dove incontra per caso dei pellegrini che si dirigono verso Santiago de Compostela, li segue non senza ripensamenti e sensi di colpa nell’aver lasciato una vita più lineare e tradizionale. Se lo troviamo qui, evidentemente sappiamo quale è stata la sua scelta che non sarà però senza sorprese fino alla fine della nostra chiacchierata.

Nel 1992 è morta l’ultima abitante di questo borgo, Maria Bellotto (dal cognome delle famiglie Bellotto il nome della borgata). Giulio è arrivato nel 1997, prima accolto con diffidenza, ora punto di riferimento per chi si avvia per questi sentieri che lui cura con passione. Giunge qui dopo aver acquistato la casa di Vittoria, la perpetua del borgo morta nei primi anni Novanta, con l’idea di fare di questa casa un luogo d’incontro, uno spazio collegato al Parco Nazionale Dolomiti Bellunesi che qui confina con la vicina Val Cismon. I Bellotti hanno fatto parte dell’Oasi faunistica del Conserlo, ora è zona ZPS a protezione speciale per la presenza di flora e fauna tipiche di zone isolate. In altre parole, wilderness.

Qui Giulio ha passato anche diversi mesi senza parlare con anima viva. E pensare che questa borgata nel dopoguerra ha ospitato ben novanta famiglie per un totale di quasi centocinquanta persone. Quello è stato il momento di maggior popolosità, ci racconta. «Qui abitavano famiglie di carbonai che lavoravano nelle miniere del Vanoi e boscaioli, anche non originari del luogo giunti qui per fornire di legnami le segherie della zona di Fonzaso. Ci sono ancora oggi le tracce delle miniere vicino ai torrenti, non lontano dalla borgata».

La densità del luogo è testimoniata dai numerosi toponimi che sono gli indici di una montagna intensamente vissuta. Basti pensare al Camp del Cano sopra casa di Giulio (campo di canapa), i vari covoli come il Cool della Striga, del Forn, il Col del Too (il colle del tufo), tutti esempi di microtoponimi.

Ad oggi i turisti che transitano non sono numerosi, la borgata è raggiungibile solo a piedi grazie a un sentiero e a Giulio non dispiace accoglierli, purché consapevoli fruitori di un luogo ancora intatto e fuori dalle rotte del turismo di massa. C’era un bivacco nella borgata, ora smantellato ma l’idea di creare qui un b&b non piace a Giulio, gli piacerebbe una forma di turismo più a misura di tutela ambientale, la stessa missione che ha caratterizzato numerosi suoi viaggi in passato.

Giulio malgaro nell’Oberland Bernese, 1998-99

I bambini erano così non volevano più ritornare a casa e costringevano i genitori a tornare. Si era creato uno spirito magico.

Cuoco, malgaro, muratore, educatore ambientale, bidello …

Ci racconta Giulio di essere in pensione da pochi mesi, l’ultimo lavoro è stato il bidello nelle scuole della zona, ma nella sua vita o, meglio, nelle sue vite, ha fatto di tutto. Si è addirittura candidato come consigliere comunale, in uno dei suoi tentativi di vita più tradizionale. Ora aiuta la figlia nella costruzione della nuova casa a Feltre, coltiva i suoi ortaggi e non ha smesso di viaggiare. Quando può parte senza biglietto di ritorno.

Tra i tanti lavori che ha svolto c’è anche quello di cuoco al rifugio Colbricon, presso i famosi laghetti vicino al passo Rolle. Ma la sua storia di cuoco ha origine più lontane, quando seguì un’amica in Svizzera, nelle Alpi Bernesi, alla fine degli anni Novanta. Qui era il mithilfe, l’aiutane in una malga nell’Oberland Bernese, zona della Svizzera ad influsso tedesco. «Si lavorava come nelle vecchie malghe in Italia, il pavimento di pietra, senza mattonelle sui muri, ma i controlli sulla produzione del formaggio erano molto rigidi».

Ogni giorno Giulio aveva a che fare con un calderone di 500 litri dal quale veniva prodotto un formaggio molto ricercato, l’Hobelkäse, da tagliare a scaglie con uno scalpello, un lavoro e una tecnica precisa. E lì, poco a poco, Giulio si è trovato a gestire la malga in completa autonomia, a fargli compagnia cinquanta mucche, cinquanta manze, tre maiali e nessun aiutante o un cane a dargli una mano a radunare il bestiame! Giulio qui passò due estati per quattro mesi, mentre d’inverno si spostava nei Pirenei francesi, ad Ariége dove abitavano dei contadini nomadi. Faceva il muratore e costruiva case di argilla, paglia e legno, oltre a lavorare nelle fattorie.

Torna a lavorare, qui vicino a Lamon, nella Val di Seren, nella fattoria didattica l’Albero degli Alberi, la prima della provincia di Belluno che è anche un agriturismo, una lungimirante idea di Leonardo Valente. In questo posto, non così facilmente raggiungibile, arrivavano autobus colmi di ragazzini curiosi e desiderosi di vivere una giornata immersi nella natura e incantati dal nostro cantastorie Giulio. Ai bambini Giulio mostrava la coltivazione del fagiolo, raccontava della fauna locale, descriveva le piante e i loro benefici. Dipingevano tutti assieme e costruivano capanne con grande stupore degli anziani del luogo, vicini di casa della fattoria, increduli di quel magico mondo che solo la personalità di Giulio poteva creare e rendere così reale. Così reale che – ci racconta Giulio tra le risate – da andare spensierato nel supermercato del paese a fare la spesa con il volto ancora dipinto di mille colori, come un indiano. «Mica cosa che capita tutti i giorni! I bambini erano così non volevano più ritornare a casa e costringevano i genitori a tornare». Si era creato uno spirito magico, la storia, il coinvolgimento, tanto che i bambini trascinavano anche i loro genitori in quel mondo puro e totalizzante tipico dell’infanzia.

Giulio con il cane Frick

Gli altri abitanti dei Bellotti sono due vipere, Sibilla e Cornelia, ora rigorosamente in letargo nel muro in pietra a secco dietro casa di Giulio.

Gatti, cani, api, vipere, orsi e lupi

Il tempo vola, sono le 11 e 20 del 3 gennaio e qui ai Bellotti il sole già tramonta. Il 17 gennaio nel giorno di Sant’Antonio Abbate la luce si allunga di un’ora e l’inverno per chi vive di energia rinnovabile è quasi già un ricordo (il sole avrà la sua permanenza più lunga a giugno quando sorgerà alle 7 e tramonterà alle 17).

Giulio riesce ad essere autosufficiente coltivando l’orto per il suo sostentamento, il fagiolo di Lamon, in primis, specialità tipica della zona che vende in paese, non semplice nella sua coltivazione che richiede molta fatica.
E gli animali qui ai Bellotti?

Ad accoglierti in casa di Giulio un gatto sull’uscio, transfugo dalla borgata vicina dei Marsanghi. Non ci sono altri animali perché si assenta spesso per i suoi viaggi. Ci sono i predatori: orsi e lupi da più di dieci anni. In passato Giulio aveva le arnie ma dopo l’ennesima predazione da parte dell’orso ha smesso con l’apicoltura. Una volta c’era anche Frick, un cane che viveva giù in valle, all’osteria Val Rosna, ma che aveva imparato perfettamente la strada per salire da Giulio. In dieci minuti, sfidando il traffico nella galleria, arrivava qui per vivere le sue giornate di libertà. Un rapporto speciale, ma di rispetto della reciproca indipendenza. E quando Giulio si assentava per lunghi periodi Frick si procurava autonomamente il cibo: le carogne di animali che Giulio trovava vicino a casa erano la testimonianza. Un predatore abilissimo, ma allo stesso tempo un amico affidabile che aspettava Giulio al rientro nel suo giaciglio sull’uscio di casa. Il Genius Loci di casa.

La prima domenica di settembre si tiene sempre da tradizione una grande festa ai Bellotti, la Festa delle Madonna, e arrivano qui anche duecento-trecento persone radunate davanti alla chiesa. Una chiesa tenuta perfettamente in ordine da Giulio, con il coro a testimoniare quanto fosse vissuta e frequentata negli anni addietro. E quale occasione migliore di questa per Frick per farsi ricordare da tutti? Protagonista della sparizione di una forma di formaggio da 5 kg, lasciata incustodita alla fontana e ritrovata molto tempo dopo, ben nascosta sottoterra, coperta da foglie e già assaggiata, come testimoniavano alcuni morsi. Un vero e proprio formaggio di fossa!

Gli altri abitanti dei Bellotti sono due vipere, Sibilla e Cornelia, ora rigorosamente in letargo nel muro in pietra a secco dietro casa di Giulio.

Gli aneddoti che Giulio snocciola uno dietro l’altro sono storie di un’umanità semplice e genuina, piena di vita.

Giulio ci prepara una sfiziosa pasta al gorgonzola, accompagnata dal buon vino rosso, lasciato qui dagli alpini in occasione della festa della borgata (per portare ai Bellotti il cibo c’è una teleferica). Nei quattordici anni in cui ha lavorato al rifugio Colbricon, partendo dalla sua borgata tutti i giorni a piedi, Giulio è diventato un bravissimo cuoco, specializzato nel fare la polenta con il paiolo come una volta. Ha imparato a cucinate i piatti tipici di montagna, dallo spezzatino con la sua famosa polenta, il formaggio fuso e contorni vari. Questo lavoro stagionale ha permesso a Giulio di viaggiare tutto il resto del tempo libero. Basti pensare solo all’Himalaya dove è andato per ben tre volte rimanendo diversi mesi.

Giulio in Madagascar, 1997
Giulio volontario in Kenya, 2011-2013

Ha visitato montagne, deserti, parchi; ha preso autobus fatiscenti pieni di gente, ha attraversato fiumi sulle piroghe; ha rischiato la vita tutti i giorni, ringraziando ogni volta di essere sopravvissuto. 

Dalle foreste del Madagascar all’incontro con il leopardo delle nevi

Spesso è partito da solo, conoscendo i compagni di viaggio più disparati lungo il percorso.
Quando si è abituati a una vita spartana ci si adatta a tutte le situazioni e agli incontri più disparati, come quando durante un viaggio in Madagascar, dopo essere rimasto quattro giorni in aeroporto a Mosca dove faceva scalo perché il volo era stato annullato, incontra un tedesco che si proclamò un veterano viaggiatore, ma così impaurito da insetti e malattie da ritrovarsi spesso protagonista di incidenti maldestri come la caduta in un tombino! Questo paese era già nei pensieri di Giulio quando, in Italia, partecipava attivamente alla raccolta fondi del WWF, coronando poi il sogno di andarci e viverci per un po’ di mesi.

In Madagascar Giulio lavora come istruttore di guide naturalistiche, dopo aver studiato il francese, in un lembo di foresta ancora integra, primordiale, un santuario della natura. La natura lì è immensa con alberi enormi; rimane con gli indigeni quindici giorni in un’area protetta per insegnargli il valore della loro terra. All’improvviso però arrivarono i monsoni ed è costretto a fermarsi lì con gli indigeni nelle palafitte, non potendo tornare a casa e comunicando con difficoltà con l’Italia (c’erano solo i telefoni satellitari molto costosi). Era il dicembre 1995, doveva fermarsi un mese e fu costretto a rimase fino a febbraio: per questo motivo girava con una fotocopia sbiadita del passaporto, in modo che non fosse facilmente riconoscibile.

Durante quel viaggio Giulio ha veramente capito il valore della vita, incontrando mille difficoltà, in isolamento e con la malaria. Ha visitato montagne, deserti, parchi; ha preso autobus fatiscenti pieni di gente, ha attraversato fiumi sulle piroghe; ha rischiato la vita tutti i giorni, ringraziando ogni volta di essere sopravvissuto. Una lezione di vita che l’Africa vera, quella vissuta da indigeno, ti insegna nel suo modo più brutale con il solo fine di portare a casa la pelle ogni momento. Ricorda commosso di aver baciato la terra del Madagascar prima di prendere l’aereo per l’Italia, ma non ha mai voluto ritornarci. Troppo sarebbe il divario tra ciò che di autentico ha vissuto e il Madagascar turistico dei tempi odierni.

Giulio è stato diverse volte anche sul Monte Kenya, nel 2000 in missione per il Giubileo a Roma, poi in India alle sorgenti del Gange nell’inverno 2002, al confine con il Tibet e lì a 4800 metri ha visto il leopardo delle nevi, un felide di grossa taglia originario delle catene montuose dell’Asia centrale, difficilissimo da incontrare. Ha passato tutta la notte in tenda, durante la quale sentiva dei miagolii e all’alba, già in cammino, su un passo è riuscito a scorgerlo. È stata una frazione di secondo, testimoniata dalle sue orme sulla terra e da quella coda lunghissima, inconfondibile.

Ma torniamo al presente.

La Valle del Vanoi dove dovrebbe sorgere la diga

La quota dell’invaso a 570 metri, l’acqua arriverebbe a lambire le case dei Bellotti che sono a 660 metri di quota.

Una diga incombe sulla valle, su Giulio e sui Bellotti

Giulio è ora preoccupato perché è riemerso un vecchio progetto di costruzione di una diga, che sbarra il vicino corso del torrente Vanoi, che andrebbe ad aggiungersi ai cinque bacini artificiali già esistenti nelle vicinanze (Forte Buso, Val Noana, Pontet, Val Senaiga e Corlo). Negli anni Sessanta, e poi a più riprese, venne proposta la costruzione di una diga sul Vanoi e vennero eseguite delle indagini geofisiche. I risultati misero in luce che nello stato superficiale c’era Dolomia ma poi della ghiaia e sotto ancora roccia. I versanti sono quindi friabili.

«Basti vedere, quando piove, come esce l’acqua dal tunnel d’ispezione che hanno scavato sotto i Bellotti, per capire come la roccia sia permeabile» ci dice Giulio. Questo testimonierebbe che il lato dello sbarramento, verso i Bellotti, è impostato su una paleofrana, una frana avvenuta nel periodo glaciale: il dato ha fatto abbandonare l’idea che però, nonostante ciò, ha rivisto luce negli anni con ulteriori studi geofisici. La possibilità di avere nuovi invasi per produrre energia e acqua da usare da parte dei consorzi irrigui, sempre più assetati, è sempre appetibile. Nonostante il fine ultimo sia la produzione di energia rinnovabile, la costruzione di una diga comporterebbe un intervento che va esattamente nella direzione contraria al rispetto e alla conservazione dell’ambiente e dell’ecosistema fluviale già sotto pressione. Le criticità idrologiche e ambientali sono evidenti, la valle verrebbe completamente stravolta e con essa il microclima. E forse si rischierebbe un altro Vajont.

Lo sbarramento del torrente Vanoi comporterebbe l’allagamento della Val Cortella, una delle poche valli ancora risparmiate allo sfruttamento idroelettrico e, con la quota dell’invaso a 570 metri, l’acqua arriverebbe a lambire le case dei Bellotti che sono a 660 metri di quota.

I racconti di Giulio dovrebbero farci riflettere su un rapporto più consapevole con la montagna che ha sempre più bisogno di frequentatori responsabili (basti pensare alla crescita del numero di interventi del soccorso alpino un po’ in tutte le Alpi). Ci dovremmo porre una semplice domanda, quando decidiamo di andare in montagna: quali sono i valori che voglio conservarne?

«La montagna non è un divertimentificio!» Non possiamo che essere d’accordo con Giulio. «Non va sfruttata ma rispettata con il suo ecosistema delicato. È necessario sempre di più un turismo consapevole». Sembra che non ci sia alternativa per questi luoghi fuori dai flussi del turismo di massa, spesso c’è reticenza o diffidenza da parte chi vive su queste montagne perché c’è sempre di più una fruizione superficiale, veloce, il tempo di una foto, di una cima, di un numero quando invece ci si dovrebbe immergere nel territorio, rispettandone l’identità e l’unicità.

Sarebbe davvero una grossa perdita rendere tutte le montagne uguali, facilmente fruibili e velocemente dimenticabili. Come non fare tesoro delle esperienze passate e delle conseguenze devastanti di tragedie con il Vajont e Vaia? Le nostre montagne come metafora di vita, il passo è breve.

La casa di Giulio
L'autrice del reportage con Giulio

Giulio è oggi l’anima dei Bellotti: il luogo, la terra, al quale torna sempre dopo i suoi viaggi e vuole continuare a custodire questo luogo.

Quando ti porti dentro queste sofferenze, si cerca la solitudine.

Alla domanda di quali siano i suoi rimpianti, Giulio ci sorprende ancora con una risposta spiazzante. Non rifarebbe questa scelta di vita così radicale se potesse tornare indietro.

Tutto dipende dal bagaglio che si ha nel momento in cui si deve prendere una decisione così radicale. Lui, orfano di madre è passato attraverso diverse famiglie, dormiva sotto il fieno per non farsi trovare, per poi essere accolto da una maestra di Reggio Emilia che lo voleva adottare e che per anni gli ha sempre mandato delle lettere e che purtroppo quando Giulio è andato a trovare, partendo in bicicletta da Lamon, era già molto ammalata.

Quando ti porti dentro queste sofferenze, si ha sempre un po’ di diffidenza, poca fiducia negli altri, si cerca la solitudine. Ognuno di noi in modo inconsapevole trasmette la propria storia alle persone vicine, così Giulio con le sue figlie con le quali non ha vissuto un rapporto quotidiano ma con le quali oggi si diverte a fare dei giri in montagna, l’una vicina a Lamon fa insegnante e l’altra a Berlino lavora alla Deutsche Welle.

Giulio è oggi l’anima dei Bellotti: il luogo, la terra, al quale torna sempre dopo i suoi viaggi e vuole continuare a custodire questo luogo con i mezzi e le energie che ha. Giulio è un cantastorie, empatico, accogliente, soprattutto con i bambini ma anche con gli adulti desiderosi di imitarlo nelle sue scelte. Tanti, infatti, vengono qui e tornando per un consiglio di Giulio!

Si apre condividendo senza indugi i suoi sentimenti, senza tralasciare le parti buie e difficili, il sacrificio che ci vuole per portare avanti una decisione come la sua che però allo stesso tempo gli permette di godere del proprio tempo. Probabilmente è il suo essere l’unico custode solitario di questo luogo “amalgama di tanti altri luoghi” che lo rende così vicino agli altri, suscitando immediatamente un legame di vicinanza.
È la bilancia: vicinanza-lontananza.

È il lontano vicino, come suo sogno Giulio vuole riaprire l’atlante, puntare il dito e lì fare il suo prossimo viaggio, con la certezza di tornare sempre ai Bellotti.
_____
Crediti fotografici: le foto degli anni 70 sono di Adolfo Malacarne, tratte dal suo volume “Perduti sentieri” che si ringrazia per la gentile concessione; le foto del reportage sono di Teddy Soppelsa, tutte le altre sono di Giulio Tollardo.

ph. Teddy Soppelsa
Luana Bendo

Luana Bendo

Mi occupo di comunicazione. Grande appassionata di montagna, sportiva e viaggiatrice. In Altitudini.it queste passioni trovano un'unica casa.


Il mio blog | Non ho un blog/pagina digitale, eleggo altitudini.it come la mia rivista digitale.
Link al blog

25 commenti:

  1. Claudio ha detto:

    Complimenti e stima a Giulio ultimo tenace testimone di una montagna resistente purtroppo in via di estinzione… ma complimenti davvero anche all’autrice Luana che ha saputo riportare con passione e poesia questa preziosa testimonianza.

    1. Loredana Corrà ha detto:

      Bellissima testimonianza. Pensavo che la frazione dei Bellotti fosse disabitata. Invece vi resiste un uomo che non possiamo dire solitario perché è sempre pronto a partire per luoghi lontani, tornando però sempre ai Bellotti.
      Provo ammirazione per questa persona coraggosia e mi congratulo con la brava intervistatrice,

      1. Giulio ha detto:

        Per chi vive in una valle senza albe ne tramonti, diventa una compulsione partire verso ampi orizzonti sia geografici che mentali, ma l’estate, con i suoi arcobaleni è bella anche qua. A presto…
        .

    2. LUANA LUANA ha detto:

      è stato per me un grande piacere conoscere Giulio e poter raccontare la sua storia, grazie!

  2. Germano ha detto:

    Salve, mi chiamo Germano Cecco io conosco di persona Giulio Tolardo una vita passata que e là per Lavoro, e anche da esploratore. Auguri per la pensione.
    Germano

    1. Giulio ha detto:

      Grazie e come si dice: “è meglio aggiungere vita ai giorni, che giorni di vita”.

  3. Adolfo ha detto:

    L’anima di Giulio e dei Bellotti è ben rappresentata da quel dipinto raffigurante un viandante-pellegrino in cammino al motto di “LENTIUS-PROFUNDIUS-SOAVIUS” posto all’ingresso della sua casa-rifugio-eremo. Il cammino come metafora della vita. Mi congratulo con Luana e con Teddy per questo ottimo e realistico affresco su una frazione sperduta e perduta e su Giulio, un resistente ritrovato che ne tramanda le antiche memorie.

    1. Giulio ha detto:

      Grazie fratello pellegrino per la solidarietà e le belle foto che hai messo a disposizione. Buon cammino sempre….

  4. Giuseppe Busana ha detto:

    Intorno agli anni ’50 questa frazione faceva parte del comune di Cinte Tesino. Ricordo che mio padre mi raccontava che erano venuti fin qui a prendere voti per l’elezione del sindaco di Cinte. Non so quando i Bellotti sono passati sotto Lamon, perchè la montagna su cui sorge la frazione appartiene ancora al comune di Cinte. Mi informerò. Bellissima questa intervista e splendida la figura di Giulio, sicuramente ultimo nel suo genere.

    1. Giulio ha detto:

      Veramente i Bellotti dopo il 1866 sono diventati italiani, veneti, lamonesi…comunque grazie

  5. Nicola ha detto:

    Sono stato ai Bellotti la prima volta quando c’era ancora Maria che ci offrì il caffè, poi si fece buio, era inverno, non avevamo la pila e ci regalò una candela per illuminare il sentiero, che facemmo ovviamente nell’oscurità, fu un’esperienza incredibile…
    Maria morì il giorno di Pasquetta del 1992

  6. Adriana ha detto:

    Je viens de lire avec un grand intérêt cet article sur Giulio ai Bellotti, c’est là que grandi en partie chez ma grand-mère Teresina Bellotto. Je suis heureuse de voir qu’un “loup solitaire” y vit désormais. J’habite en France près de Lyon. Adriana

  7. Mariuccia ha detto:

    Giulio è il mio cugino preferito, cresciuti lontani uno dall’altra siamo però sempre rimasti in contatto. Ad unirci l’amore per i viaggi che io ho più che altro sognato e lui realizzato. A una cartolina che ci mandò dal cammino di Santiago debbo la decisione di fare quel pellegrinaggio, una delle esperienze più gratificanti vissute con mio marito.
    Buona vita ai Bellotti e mantieni la promessa, il lago e la Grigna ti aspettano

    1. Giulio ha detto:

      Grazie e tanto coraggio.

  8. PANTE VIRGILIO ha detto:

    Siamo saliti insieme sul monte Kenya (Punta Lenana, m.4985). Vecchi amici di avventure.

    1. Giulio ha detto:

      Là in cima celebrasti una Messa indimenticabile. Auguri per il tuo libro

  9. Di Iulio Tina ha detto:

    Che bello vedere questo articolo dove ci sono le foto della mia bisnonna Maria. Purtroppo quando si diceva Maria nessuno sapeve chi era. La chiamavano sempre Maria Skitat. Quando andavo a trovarla in montagna mi sembra essera da HEIDI. Ho tanti begli ricordi di lei. Grande questo articolo

  10. Luca ha detto:

    Ho lavorato un po’ di anni in rifugio con Giulio. Me ne ha raccontate tante di storie leggendarie fuori da ogni convenzione, tutte contraddistinte da una profonda e potente presenza della vita e da una lieta inquietudine. Si è concesso tutte le possibilità di essere, e ha cambiato strada ogni volta che lo sentiva necessario.
    Dante scriveva nel canto I°:
    “onde si muovono a diversi porti
    per lo gran mar de l’essere, e ciascuna
    con istinto a lei dato che la porti”.
    Ciao corvo errante! (così lui si definiva con me).
    Goditi potere e bellezza della tua saggezza.
    Tutti siamo capaci di inventare il futuro, ma solo chi è saggio può creare il “proprio” passato. (Vladimir Nabokov)
    Grazie di Cuore a Luana per la sua preziosa testimonianza.

    1. Giulio ha detto:

      Caspita, mi hai sorpreso Luca. Ho nostalgia delle belle stagioni al rifugio, eravamo una squadra formidabile, in primis la Giuliana.
      Passa a trovarmi.
      Grazie

  11. ANNA ha detto:

    Quando ero bambina andavo ai Pugnai da mia nonna Anna Maschio, ai Bellotti avevamo due zie, Lisetta con una figlia” Marinella” e la zia Tranquilla sposata con Albino Bellotto e genitori di tre figli, miei cugini, Margherita, Vittorio e Ferdinando. Mia zia Tranquilla abitava nell’ultima casa del villaggio. Ho dei bei ricordi, Campi di mais, fragole, lamponi, polenta e formaio fritto. pensavo che il borgo fosse deserto, invece con piacere scopro che è abitato da Giulio, che non conosco, ma che ha lo stesso cognome che ho io. Mi chiamo Anna Tollardo, e vivo in valle d’Aosta. Un caro saluto all’unico abitante Giulio

    1. Giulio ha detto:

      Il paese è tutt’altro che desolato. È ben curato da tutti quelli che hanno casa quassù. Tante colture e fiori, prati sfalciati, sentieri agibili.
      Ognuno fa con amore come fosse una piccola Heimat.

  12. Giuliano Boin ha detto:

    Alcuni anni fa ho avuto il piacere di conoscere Giulio, è davvero una persona speciale, con i suoi racconti e davanti a un buon caffè in breve tempo ti porta dai Bellotti a girare in tutto il mondo, è veramente bello sentirlo parlare

  13. Luiz Claudio Bellotto ha detto:

    Ciao. Mi chiamo Luiz Claudio Bellotto, brasiliano con cittadinanza italiana dal Lamon. Il papá del mio bisnonno si chiamava Luigi Bellotto, nato ai Bellotti di Lamon nem 1857 e venuto in Brasile com la moglie Teresa, suo papá Giovanni Bellotto e la Mamma Catterina Corona. Tutti nati a Lamon e Bellotti. Hanno lasciato il paesello Bellotti nel 20 dicembre del 1877 e arrivati al Brasile in gennaro del 1878. Breve, si Dio vuogle, sarò a Lamon per conoscere Bellotti, chissà Giulio e la terra dei miei antenati. Giulio, bravo per scrìvere queste belle sotie.Distinti saluti. Se alcuni vuogle parlere con me, mio telefono è (55 Brasile) 45 999 77 48 00

  14. Marco ha detto:

    Una testimonianza bella, vera, raccontata con grande cura e passione. Giulio ha un’anima di cui il mondo ha bisogno.

  15. Esther ha detto:

    Du wachst nun über diesen verlassenen Weiler, sprichst mit den Tieren und weniger mit den Menschen. Ein schwieriger Weg. Man muss die Vergangenheit loslassen und mit ihr Frieden schliessen. Ich wünsche Dir eine gute Reise

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Esplora altre storie

Il tempo è una delle poche risorse ad oggi che non possiamo acquistare. Un'escursione... Il tempo è una delle poche risorse ad oggi che non possiamo acquistare. Un'escursione in montagna, in compagnia con chi più si ama, è...

La Valle Albano ha selve di castagni secolari dai possenti toraci ruvidi scavati dal... La Valle Albano ha selve di castagni secolari dai possenti toraci ruvidi scavati dal fuoco di incendi dimenticati, In questa valle torniamo spesso alla...

Traversata in solitaria del Parco Nazionale del Sarek (contea svedese di Norrbotten). Nessun sentiero,... Traversata in solitaria del Parco Nazionale del Sarek (contea svedese di Norrbotten). Nessun sentiero, nessun segnavia, poche tracce di uomini e renne. ...

Quando cammini sentieri e tocchi rocce da tempi che nemmeno ricordi, ti può capitare... Quando cammini sentieri e tocchi rocce da tempi che nemmeno ricordi, ti può capitare di andare oltre quella scorza superficiale dove i più si...

Sono le sere terse di novembre, quelle che più mi fanno pensare a te. Il... Sono le sere terse di novembre, quelle che più mi fanno pensare a te. Il profilo delle montagne si delinea nitido contro il cielo scuro,...

Sono sicura che i camosci abbiano letto i saggi del filosofo Roberto Marchesini e... Sono sicura che i camosci abbiano letto i saggi del filosofo Roberto Marchesini e che tengano in grande considerazione la portata che l’ospite può...

Non ricordo la prima volta che lo vidi, ma è uno dei miei primi... Non ricordo la prima volta che lo vidi, ma è uno dei miei primi ricordi. Eravamo nell’orto con mio fratello e nonno Rnéstu che...

Pizzo d’Eghen, un bastione di calcare al confine occidentale del Grignone che si innalza... Pizzo d’Eghen, un bastione di calcare al confine occidentale del Grignone che si innalza per oltre seicento metri sulla sottostante Valle dei Mulini. Riccardo Cassin...

Jonas quella mattina si alzò presto; chiudendo la porta del tabià, l'aria gelida lo... Jonas quella mattina si alzò presto; chiudendo la porta del tabià, l'aria gelida lo colpì con una sferzata al volto, la neve scricchiolava sotto...

Cinque giorni di attraversata scialpinistica sul ghiacciaio Wapta, tra lo Yoho e il Banff... Cinque giorni di attraversata scialpinistica sul ghiacciaio Wapta, tra lo Yoho e il Banff National Park. "Una cosa molto divertente che non farò mai più"....