Intervista

IL BISONTE DI BARRY

Figlio d’arte, scultore e alpinista, Barry Bona coniuga il talento artistico con la passione per la montagna nel rispetto per la madre terra (non meravigliatevi se incontrerete un bisonte bianco sotto il Cimon di Palantina).

testo di Teddy Soppelsa

26/01/2021
10 min
Per le tribù dell’America del nord, il bisonte bianco era il simbolo del Grande Spirito, della divinità assoluta. Ancora oggi per i discendenti di tali tribù, ogni visione, sogno o segnale riguardante il bisonte viene interpretato come un messaggio dei Sacri Spiriti a vivere in armonia con la madre terra e con l’universo intero.

Il bisonte bianco di Barry pascola mansueto sotto il Cimon di Palantina. E’ il custode delle pareti di ghiaccio e ci mette in guardia dai pericoli che si corrono se ci allontaniamo dall’amore di ciò che ci dà la vita e ci nutre.

Il Cimon di Palantina è una vetta del gruppo Col Nudo–Cavallo di poco superiore ai 2000 metri, propaggine occidentale delle Dolomiti Friulane e stupendo balcone panoramico sul bellunese, per la sua forma inconfondibile è chiamato il Cervino dell’Alpago.
In inverno è una montagna dai due volti: sullo scivolo regolare del versante sud-ovest si cimentano gli scialpinisti più esperti, mentre sulle gelide pareti di nord-ovest i moderni ghiacciatori trovano pane per i loro denti. La prima via alpinistica fu aperta nel settembre 1925 dal ventiduenne Mario Vazzoler, tra i fondatori della sezione CAI Conegliano, insieme al trentacinquenne Alessio Alvazzi Del Frate, alpinista piemontese e tesserato presso il CAI di Aosta. Per rivedere altri alpinisti su quelle pareti bisognerà però attendere quasi cinquant’anni e saranno i fratelli Alvio e Ettore Bona a tracciare nuovi itinerari. Ci vuole però ancora un’altra generazione per immaginare come quei dirupi di roccia precaria mista a erba, possano con il gelo trasformarsi in un nuovo terreno di avventure. E’ Barry Bona, il figlio di Alvio, ad avventurarsi in inverno in più riprese, sia con il padre, sia con la giovane guida alpina trentina Peter Moser. E così negli anni a cavallo del 2010 la famiglia Bona e amici tracciano diversi itinerari invernali che fanno la storia recente del Cimon.

Ma gli inverni non sono tutti uguali e chi vuole ripetere le vie di Barry deve avere pazienza, a volte tanta pazienza, e attendere l’incantesimo, la formula magica che ogni tanto scende dal cielo e trasforma la montagna in colatoi ghiacciati degni delle migliori goulottes delle Alpi occidentali. All’inizio di questo inverno molto nevoso e umido, pochi giorni prima di Natale, l’incantesimo si è materializzato ancora una volta. Il bisonte bianco di Barry è ritornato a pascolare, porta il messaggio dei Sacri Spiriti, era quello il momento buono per agire.

Andrea, Barry, Diego e Santi
La mattina del 20 dicembre, Andrea Capovilla e Barry Bona sono alla base della parete nord-ovest del Cimon di Palantina che hanno raggiunto con gli sci. Pochi giorni prima Barry, che sa tutto di quanto succede sul Cimon, dice che è il momento buono per ripetere Cugis Corner, la via aperta da lui e Simone Favero nel 2011 e che a oggi sembra non aver ripetizioni. «La parete è perfetta, smaltata di ghiaccio molto più dello scorso anno» scrive Andrea nella sua pagina facebook. «Entusiasmo a bomba, i tiri si susseguono molto continui e mai banali, uno più bello dell’altro, il penultimo tiro è veramente impegnativo, a tratti strapiombante su misto di roccia, loppe e ghiaccio molto fino, una goduria! Barry ne ha da vendere come sempre, così in poco più di tre ore siamo in cima con un sorriso enorme!».

Solo tre giorni dopo, il 23 dicembre, altri due alpinisti si presentano sotto la parete, sono il feltrino Diego Toigo e la guida alpina catalana Santi Padros (ormai zoldano d’adozione). Sono lì per ripetere Questo Gioco di Fantasmi, via aperta da Barry e Peter Moser nel gennaio del 2011. «E’ una linea bellissima su una parete poco blasonata ma dal grande fascino» scrive Diego sulla sua pagina facebook. «Complimenti a Peter e Barry per aver aperto questa piccola perla, ieri sembrava di essere su una grande nord delle terre dell’ovest. Grande Santi a risolvere il secondo tiro molto delicato e difficile da proteggere». E Santi nella sua pagina scrive: «Il destino ci porta a condividere queste magnifiche giornate con persone che passano il loro tempo con addosso zaini pesanti, con levatacce assurde, camminando al buio i posti sconosciuti, cercando il divertimento nella scalata su terreno misto e ghiacciato, alle volte tanto umido. Prima, durante e dopo regna un bel sorriso nelle nostre facce, c’è una magia molto particolare, ci siamo trovati tutti, dal Barry all’Andrea, al Claudio, al Stefano, Ed, Luca e Diego che mi regala sempre questi tironi infiniti di una bellezza indescrivibile e anche un po’ terrifici. Questo Gioco di Fantasmi è veramente una perla sconosciuta, complimenti agli apritori per la loro determinazione. Ole!».

Barry Bona e Andrea Capovilla
Santi Padros e Diego Toigo

Come otto anni fa
Penso all’incantesimo del Cimon di Palantina e al poter che ha sugli uomini, alla magia che trasforma la roccia in ghiaccio, capace anche di unire le persone alle montagne. Mi viene in mente l’intervista di Michela Canova che fece a Barry per altitudini.it quasi otto anni fa. Vado a rileggerla (la trovate riproposta qui in fondo) e trovo quanto mi basta per capire come sono maturate queste due ripetizioni. Credo che Barry sia anch’esso parte dell’incantesimo. Mi chiedo: cosa avrà fatto Barry in questi otto anni? Come avrà trascorso le sue giornate in attesa del sortilegio? Lo vedo nel suo laboratorio mentre scolpisce, su legno e pietra, esili figure spogliate del superfluo, mentre osserva il Cimon e pensa all’alpinismo come a “una fantasia d’arte, un’autentica espressione estetica; bisogno di conoscenza che gli antichi bene rappresentarono nei miti di Icaro e Ulisse”¹. Penso a Icaro, il personaggio della scoperta, della curiosità pura che si spinge oltre il consentito e poi all’intelligenza, all’arguzia e alla nostalgia di tornare alla terra natale del buon Odisseo.
Icaro, Odisseo e Barry forse sono la stessa cosa?

Ciao Barry, rileggendo la tua intervista di otto anni fa, è cambiato qualcosa nella tua vita di alpinista e di uomo?
Da allora svolgo la mia attività alpinistica con molta meno frequenza, proprio sette anni fa sono diventato padre di una bellissima bambina (Ines) e oltretutto, nello stesso periodo, ho avviato la mia attività di scultore, come lavoratore autonomo. Quindi ho dovuto ridurre le uscite, al massimo una decina a stagione e nel raggio di una giornata, comunque con la rapidità che da sempre contraddistingue il mio alpinismo. Non sono mai stato amante dei bivacchi in montagna o delle permanenze di più giorni in ambiente, a meno che non si tratti di una salita che valga veramente (come la trasferta per le grandi pareti nord delle Alpi). Tuttavia ho ancora più entusiasmo ed energia di quanta ne avevo dieci anni fa, sono più consapevole di quello che posso fare, senza farmi influenzare da fattori esterni, coerente con la mia idea di alpinismo. E’ sbocciata così la passione per le scalate in solitaria, con l’uso della corda, e da qualche anno è diventata la maniera migliore per conciliare l’arrampicata con gli impegni familiari e lavorativi. Sono riuscito a salire vie del calibro della Benvegnù al Sasso di Càleda, oppure la Livanos all’Elefante in Civetta, rientrando a casa nel pomeriggio per lavorare. Con il laborioso sistema dell’autosicura, che prevede di salire ogni lunghezza di corda due volte per poter recuperare il materiale, ho acquisito ancora più rapidità ed efficienza anche quando mi lego in cordata con compagni altrettanto veloci, e il piacere dell’arrampicata assume per me sensazioni forti. Sono ancora fortemente innamorato dell’alpinismo praticato con una precisa etica, prediligo ancora itinerari classici con la ricerca dell’avventura.

E cosa è cambiato nel mondo dell’arrampicata sulle vie di misto, rispetto a quelle che hai aperto e altre che hai ripetuto?
Il mondo dell’arrampicata in montagna si sta orientando sempre di più sulla velocità di esecuzione, sull’uso di materiali ultraleggeri e di una tecnica raffinata. Per la scalata invernale queste sono delle prerogative importanti a cui non si può fare a meno. Si è visto negli ultimi anni salire le pareti nord sempre più rapidamente, anche in stagione fredda: la nord-est del Pizzo Badile è forse l’esempio più sbalorditivo, con le rivisitazioni invernali lungo linee di vie estive, che il gioco del ghiaccio sconvolge e dove il ghiaccio forma la linea bianca questa è ancor più evidente della via percorsa da Koller, chiamata proprio “Linea Bianca”, perché d’estate segue una vena di quarzo sul granito! E’ un gioco magico che permette ad alpinisti tra i più forti del mondo di salire la muraglia del Badile in stile impeccabile. E così si è visto in tutto l’arco alpino nascere nuove vie di ghiaccio, che nulla hanno a che fare con le cascate di ghiaccio, ma sono vere e proprie ricerche della perfezione della natura. Pure in Dolomiti è accaduto l’incantesimo delle linee “fantasma”, basti pensare alla Bella e la Bestia sul Focobon², a Madre Tierra alla Rocchetta Alta³, a Pelmoon sulla nord del Pelmo⁴ e le incredibili Legrima al Sassolungo⁵ e Argento Vivo sulla Piccola Civetta⁶.

E invece in Alpago, a casa tua?
In Alpago le abbiamo viste dieci anni fa in tutta la loro bellezza e le abbiamo salite: Ritorno al Futuro, Cugi’s Corner, Zio Ragno e Questo Gioco di Fantasmi sulla nord del Cimon di Palantina. Quest’ultima è un “gioco” bizzarro che la natura offre ogni dieci anni, appunto! Quest’inverno sembra essersi formato il ghiaccio ancor più abbondante del 2011 e quando sono salito ad ammirare Santi Padros e Diego Toigo mentre ripercorrevano la via, ho provato una forte emozione e una voglia matta di tornarci pure io, cosa che non avrei mai detto, ricordandomi i rischi presi durante la salita da me e Peter.

Non ho resistito e pochi giorni fa sono ritornato a salire il flusso gelato di Questo Gioco di Fantasmi, insieme all’amico Stefano Teto “Cagia” e ci siamo divertiti entrambi. E’ stata un’emozione, se non simile, forse anche più forte di quella vissuta dieci anni fa. Credo che anche il fatto di stringere nuovi forti legami con ragazzi più giovani di me, che mi stimano e mi mantengono fresco di spirito, sia ciò che più mi migliora. Che esca ad arrampicare da solo oppure in buona compagnia, la mia regola è divertirmi facendo del buon alpinismo, in stile e rispettando la montagna per quella che è: un luogo meravigliosamente fragile ed esigente. Preparazione mentale e fisica permettono una pratica più sciolta e sicura, come il rispetto dell’etica stabilisce l’eleganza del proprio agire.

Il Cimon di Palantina, grazie al potere dei social e quindi agli appassionati che lo percorrono con picche e ramponi lungo le pareti nord, condividendo le loro esperienze, è diventato una meta apprezzata da scalatori provenienti anche da lontano, ed io, sentendomi un po’ il promotore, vedo che la montagna di casa è valorizzata. Ma vedo anche un altro aspetto dei social che vorrei sottolineare. Se da un lato sono strumenti utili per divulgare notizie in tempi ridotti sulle condizioni delle strutture ghiacciate e sulla loro percorribilità, da un altro lato sono spesso utilizzati come palcoscenico per mettersi in mostra. La montagna per me, invece, rimane un luogo di splendore e disperazione, di emozioni da custodire con gelosia. Forse ho una visione un po’ elitaria, ma credo che in questo mondo sia giusto che qualcosa rimanga legato al proprio intimo rapporto con la vita e la natura.

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1. Intervista a Barry Bona di Pier Giovanni Fain, Le Dolomiti Bellunesi, Natale 2016.

2. Simone Banal, Matteo Faletti, Alessandro Beber, Marco Pellegrini e Marco Zanni, l’8 e il 9 gennaio 2019 hanno aperto due vie sulla Cima del Focobon: ‘La Bella’ (265 m, AI5+, 90°) e ‘La Bestia’ (250m, AI5+, M6).

3. Santi Padrós il 30 gennaio 2020 insieme a Diego Toigo hanno completato una nuova via sulla Rocchetta Alta di Bosconero (2412 m) nelle Dolomiti di Zoldo. La via di ghiaccio e misto si chiama ‘Madre Tierra’ e il successo arriva dopo un primo tentativo effettuato insieme a Giovanni Andriano e Ruggero Arena.

4. Enrico Geremia il 7 e l’8 gennaio 2019, insieme suo fratello Daniele Geremia e Fabrizio Della Rossa ha aperto ‘Pelmoon’, una via di ghiaccio e misto sulla nord del Pelmo.

5. Il 7 e l’8 gennaio 2013, le Guide Alpine Catores Adam Holzknecht e Hubert Moroder hanno realizzato la prima salita di ‘La Legrima’ (WI6 M6 V+, 2 passi A0) la grande linea di ghiaccio e misto sulla parete nord del Sassolungo, a lungo inseguita da molti ice climber.

6. Dal 12 al 15 maggio 2013, Stefano Angelini, Alessandro Beber e Fabrizio Dellai hanno aperto ‘Argento vivo’, una nuova via di ghiaccio e misto sulla nord della Piccola Civetta.

Cimon de Palantina
Barry e Stefano Teto “Cagia” all'uscita di Questo Gioco di Fantasmi.
Sul difficile ultimo tiro di Cugi’s Corner (ph. A. Capovilla)
Autoscatto di Barry in prima solitaria sul Diedro Livanos alla Cima dell'Elefante in Civetta.

QUESTO GIOCO DI FANTASMI
di Michela Canova (altitudini, 8 marzo 2013)

Ha alle spalle vie dai nomi altisonanti come Don Quixote, Philipp-Flamm, Sperone Walker, che inducono qualsiasi alpinista a uno sguardo di rispetto, conservate nello zaino assieme a decine di classiche sulle Dolomiti e altrove. Eppure l’ascensione che gli ha dato maggiore soddisfazione si trova poco distante da casa, tra le vette dell’Alpago, visibile con il binocolo in ogni momento di nostalgia avventurosa, nell’attesa che si ripresentino le condizioni favorevoli. Per tornare a mettere le mani su quella roccia tanto vicina, sentita come propria, di famiglia.

Ogni scalatore ha la sua montagna. Quella di Barry Bona è il Cimon di Palantina perché, come dice Bruno De Donà, uno dei suoi alpinisti di riferimento: “Non serve andare in Patagonia per trovare l’avventura”.

Prima di arrivare a scoprire la Palantina, Barry ha seguito il suo percorso di formazione alpinistica, partendo dalla Tissi alla Torre Venezia con lo zio Ettore a soli 14 anni, ma ancor prima grazie all’educazione del padre Alvio, che ha iniziato con le prime doppie sui sas negli anni ‘70, frequentando poi il Falzarego e la scuola dei De Nes e di Nani ‘Falco’ di Fortogna, per farsi i calli e partire anni dopo ad esplorare le montagne di casa, con la prima invernale della “vecchia” Vazzoler in Palantina nel ‘77. Sì, perché nel ‘25 furono due di Conegliano, Mario Vazzoler, appunto, e Alessio Alvazzi Del Frate, a scalare in estate la via sul Cimon.

Prima le montagne dell’Alpago erano prerogativa di cacciatori, pastori, s’cioseleri, che conoscevano come le loro tasche tutti i ripidi viàz. Sul versante friulano il Cavallo era più frequentato, Emilio Comici lasciò le grotte di Trieste per farci la prima salita. Solo in seguito subentrarono itinerari esplorativi, sul Messer ad esempio. Il vittoriese Rino Costacurta, al quale fu dedicata la ferrata sul Teverone, negli anni ‘40 tentò altre vie. Mentre “di là”, sulle pareti orientali del Cavallo e del Cimon di Furlani si muovevano i friulani Appi, Corona, Shmaltz, “di qua” i fratelli Bona, raggiunta la maturità alpinistica, scoprivano la veste più coinvolgente del Cimon di Palantina, quella invernale.

«I colatoi ghiacciati, o goulottes, si formano quando le condizioni della neve sono giuste, devono alternarsi nevicate seguite da piogge abbondanti, per poi nevicare di nuovo e ghiacciare il tutto. E’ un caso che capiti questa sorta d’incantesimo» spiega Barry Bona, «le pareti diventano un piccolo mondo chiuso nella valle, per noi magica». E sulle pareti “di casa” Barry ha concentrato negli ultimi anni tutto il suo alpinismo, come prima di lui aveva fatto Alvio, che oggi ne segue i movimenti ai piedi della montagna in Val de Piera.

«Nella buona stagione, le mete sono sempre le Dolomiti, in particolare le più vicine nella Val di Zoldo e nell’Agordino. Prediligo le grandi classiche, per cercare di cogliere lo spirito di chi le ha aperte, sono molto appassionato della storia dell’alpinismo. Il 2007 è stato forse l’anno più intenso», ricorda Barry «l’affiatamento con il socio Peter Moser ci permise di salire in tempi ristretti il Philipp in Civetta, la Don Quixotte in Marmolada, la Biasin al Sass Maor e tante altre classiche dolomitiche. Ma prima di quell’estate, quindi d’inverno, avevo salito con papà una sua via sul versante nord del Colombera, sopra Casera Palantina. Fu proprio con quella salita che venne a galla il valore delle montagne di casa. Ero entusiasta di vedere come le condizioni ideali della neve trasformassero dirupi di roccia precaria altrimenti impraticabili, in pareti ghiacciate di tutto rispetto, simili a quelle del Monte Bianco».

La tecnica della progressione sugli attrezzi da ghiaccio permette di superare roccia marcia, zolle d’erba gelata, oppure fessure ghiacciate e fughi di neve. Peter Moser è alla sua prima esperienza con le pareti nord quando con Barry sale la Vazzoler al Cimon:

«Nel 2007 era ancora molto giovane e già si notava una grande predisposizione. Ora Peter può confrontare e paragonare il Cimon d’inverno con la nord dell’Eiger, avendola salita di recente in condizioni invernali difficili ed è diventato una guida alpina molto apprezzata. Sono fiero di lui. La Vazzoler era così bella con il suo sviluppo di 500 metri, tutto erto e ghiacciato, che dopo alcuni giorni ci tornai da solo, me la pappai in un’ora, ma non era questione di fare una prima o un record. Ancora oggi conservo dentro di me quell’esperienza solitaria come una delle più entusiasmanti».

Con l’inverno 2011, a gennaio, si realizza l’incantesimo più completo e le pareti brillano di riflessi insoliti, una intricata rete di linee ghiacciate decora la montagna e l’esperienza acquisita negli anni porta a mettere in pratica l’alpinismo d’esplorazione sul Cimon, con l’apertura di nuove vie di misto con l’amico Peter e con il cugino Simone Favero:

«Una cosa strana, colate di ghiaccio come opere d’arte, una concomitanza straordinaria. Con mio padre nel 2008 avevamo aperto la via ‘Ultima frase’, sul versate nord est. Una direttissima alla cima realizzata di pugno senza preparativi. Siamo saliti lo stesso malgrado il brutto tempo, subendo scariche di neve e cattiverie delle peggiori, riscontrando una scalata difficilmente godibile e pericolosa su rocce e neve non adeguatamente consolidate dal gelo. Nel 2011 invece, approfittando delle condizioni favolose, io e Peter abbiamo realizzato ‘Ritorno al futuro’, una variante alla via della Nicchia sulla nord est e aperta nel novembre ’77 dai fratelli Bona, slegati e rapidi fino al punto cruciale della nicchia, dove poi, legati in cordata, abbiamo seguito una linea indipendente suggerita dal flusso del ghiaccio fino in cima».

Di lì a qualche giorno, con papà Alvio, Barry affronta poi la goulotte ‘Zio ragno’, posta proprio sopra al Sasson della Madonna:

«Guardando quelle sezioni di ghiaccio verticali lì a fianco, mi ricordai delle parole di Peter pochi giorni prima: “Perché non cerchiamo di approfittare di quella linea?” E li ho capito subito che avremo trovato pane per i nostri denti e per le nostre becche!».

Nasce così ‘Questo Gioco di Fantasmi’, dedicata agli amici scomparsi, 300 metri sul pilastro più verticale e continuo del Cimon. «Non avevo mai salito un tiro di ghiaccio così effimero ed esposto. Peter è rimasto in balia sul secondo tiro per un’ora, quando è toccato a me il successivo, mi si è resettato il cervello ed è esistita soltanto la scalata. E’ riduttivo, a mio avviso, darle valutazioni numeriche. Per due tiri di sicuro è di un’estrema verticalità, con ghiaccio sottilissimo. La consiglio agli amanti del misto invernale, anche se sarà difficile che ritornino le condizioni ideali. E’ un dono che la montagna ha voluto offrirci per la nostra testardaggine. Questo gioco di fantasmi è la salita che più mi ha portato soddisfazione. Mi piacerebbe che accadesse l’incantesimo di nuovo, permettendo anche ad altri di intraprendere un’avventura simile alla nostra di due anni fa».

Ma Barry non si ferma e a marzo 2011, con il cugino Simone, apre la via ‘Cugi’s corner’:

«Era la colata più evidente, a sinistra del pilastro su cui sale ‘Questo gioco di fantasmi’. Offre alcuni tratti molto ripidi e aleatori, la linea logica del diedro è chiusa in alto da uno strapiombo friabile, sopra il quale abbiamo incontrato 40 metri di ghiaccio e neve pressata molto ripidi e precari, una cosa impressionante e intensamente condivisa con mio cugino come fosse uno dei giochi con cui ci divertivamo da piccoli. Ci sono ancora cose da fare, certo, basta avere fantasia, un’avventura di ricerca e reinvenzione. Devo ringraziare soprattutto i miei genitori, che lasciandomi andare in montagna mi hanno permesso di svolgere un’attività che mi ha fatto bene, sia nel fisico che interiormente. Senza il supporto di chi ti ama e ti vuole bene (e qui comprendo anche morosa e sorella) sono convinto non funzionerebbe altrettanto bene. Quando esco di casa per andare in montagna, sanno esattamente cosa vado a fare, sono a conoscenza dell’importanza dei miei sogni che vado ad avverare. Sono grato ai miei genitori che fin da piccolo mi hanno portato in montagna, certe immagini, seppur sfuocate da occhi di bambino, sono rimaste impresse per sempre. Poi il resto è avvenuto da sé, senza nessuna forzatura esterna».

Nel 2012 Barry ha ripetuto, tra le altre, la via Tiziana sul Colombera:

«Anche lì ci sono fessure e camini, linee naturali che chiamano vie. Con il tempo mi è capitato di ritrovarmi a fare cose che non avrei neppure immaginato di essere in grado di fare. I sogni a volte si confondono ancora adesso con la realtà, i momenti vissuti sul ghiaccio di una cascata in Canada, oppure la forza di reagire a un bivacco a 4000 metri, dopo aver salito lo Sperone Walker in giornata, o ancora la soddisfazione nel condividere le emozioni di una cima con la mia fidanzata o con i miei amici più intimi. Anche se a volte sono tornato a casa combattuto o, peggio, umiliato profondamente dalla montagna. La vita è fatta di salite e discese e bisogna sapersi rialzare anche quando questo risulta terribilmente complicato, quando una passione così forte viene scossa da fatti orribili. “E’ difficile credere in un ideale, per il quale parecchi amici hanno perso la vita” è la frase di un alpinista estremo che si definirebbe sopravvissuto, Mark Francis Twight, uno dei miei miti assieme a Ignazio Piussi, Bruno De Donà e pochi altri».

La stagione delle nevi, lo scorso anno, è stata avara con il Bellunese e niente si è ripetuto di vagamente simile alla magia presentatasi davanti agli occhi di Barry nel 2011. Gli occhi cacciatori di linee di Barry hanno sicuramente individuato altri interessanti percorsi scolpiti nella roccia, ancora da approfondire. Chissà che presto un inverno magico come quello del 2011 possa regalare all’alpinista e ai suoi soci una nuova, invitante veste di ghiaccio per le pareti del Cimon di Palantina e future avventure esplorative da insaccare nello zaino.

Teddy Soppelsa

Teddy Soppelsa

Vive a Cesio Maggiore nelle Dolomiti Bellunesi. Ha fondato la rivista altitudini.it e ideato il Blogger Contest, scrive di montagna, alpinismo e ambiente. Ha ideato diversi progetti culturali capaci di unire le emozioni della scoperta alla conoscenza dei luoghi. Ama camminare nei luoghi più selvaggi delle sue valli, fuori traccia, in ogni stagione, meglio se in compagnia.


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