Il fatto che i monti fossero nell’antichità – e siano tuttora – sede degli dèi, che Mosè abbia ricevuto le Tavole della Legge sul Sinai, ecc., tutto questo rimane fuori dai confini che ci siamo assegnati: le Alpi dell’alpinismo. Per i gentiluomini, in gran parte inglesi e tedeschi, che frequentavano le Alpi fino alla Grande Guerra, il problema delle croci non si poneva. Tra loro non mancavano i religiosi come il Rev. Arthur Guy Raynor (1885-1935), pastore anglicano, o Victor W. von Glanvell (1871–1905), docente di diritto ecclesiastico; ma dai loro scritti non emerge alcuna indicazione che non sia quella del senso del sacro evocato dalla grandiosità della montagna.
E certo mai la tentazione di segnare con una croce il raggiungimento di una vetta, non per rispetto del monte – la cerimonia che seguiva il raggiungimento della cima era la costruzione di un ometto di sassi più o meno grande, sotto il quale veniva infilata una bottiglia a conservare un biglietto da visita -; ma perché l’erezione di una croce era estranea al bagaglio culturale sia delle guide che dei signori. D’altra parte, quelli erano tempi in cui i protestanti non erano ancora “fratelli separati” dei cattolici e allo scopo basti ricordare che Ludwig Norman -Neruda, caduto sui Camini Schmitt nel 1898, venne seppellito fuori delle mura del cimitero di Ortisei.
Gli scritti degli alpinisti dell’epoca vittoriana illustrano l’esperienza di un “misticismo alpino” e non nascondono una sorta di benevolo compatimento nei confronti dell’ingenua religiosità degli abitanti delle valli alpine, connotata spesso da una vena di ipocrisia. La conquista delle cime delle occidentali, a partire dalla Gran Becca di Edward Whymper nel 1865, e delle Dolomiti non fu accompagnata dall’erezione di croci, nonostante una componente mistica fosse spesso presente in quelle imprese. Scriveva Arnold Lunn, prima metodista e poi cattolico, in relazione alla sofferenza legata all’alpinismo, che «Non vi è sport che illustri più perfettamente il principio ascetico che la felicità va pagata con la sofferenza e che il grado di felicità è in proporzione al prezzo pagato.» [A. Lunn, Mountain Jubilee, 1943].
Ledo (e altitudini) si conferma capace e lucido nell’affrontare un tema che, come ormai spesso accade, ha dato spazio sul web e non solo a fanfaronate di ogni tipo. Aggiungo una piccola postilla ricordando il Buddha sul Badile di una quasi ventina anni fa: una azione che rendeva ridicola già allora tutta questa inutile querelle.
Bravo Ledo che hai contribuito a definirne i contorni con la tua scrittura chiara e leggera.
Ringrazio il Prof. Stefanini per l’approfondimento svolto che parte dall’assunto che si tratta di una polemica pretestuosa e costruita ad arte, ma mi permetto di aggiungere delle considerazioni più generali che riguardano come sia cambiata, in peggio, la nostra società, non più in grado di ospitare e promuovere la fraternità tra gli uomini, la solidarietà, il sentirsi parte di un storia comune basata sulla pace.
Credo non basti dire che nessuno vuole togliere le croci, come ha fatto il CAI, serve aggiungere che siamo vittime di una informazione distorta che sta manipolando ogni giorno la testa delle persone mettendole le une contro le altre, anzinché promuovere lo spirito ecumenico che ci vede tutti figli della stessa terra.
Un esempio per tutti è stata la Via Crucis del 2022 al Colosseo quando un Papa, che ama la terra, si è permesso di far portare la croce a una donna ucraina e una russa. Uno scandalo rimbalzato a livello planetario: il Papa non si riconosce nell’ordine dell’impero e trasgredisce alle sue regole brandendo la croce.
Ma di chi è quella croce?
Dei giornalisti incapaci e servili che manipolano la realtà e rendono stupidi gli uomini con il loro servizio?
Dei politici senza nervo che se ne infischiano della nostra Costituzione e manipolano e promuovono la guerra, la divisione, la sofferenza?
Della povera gente che quella croce la porta tutti i giorni e nella quale magari trova anche conforto, fosse anche una bandiera della preghiera tibetana?
L’uomo è diventato intollerante, aiutato e spinto dai media (la guerra in Ucrania lo mostra tutti i giorni), e non è più in grado di accettare la diversità che è la ricchezza della montagna, della vita, dello stare insieme comune, ma ancor più di ogni animo umano sensibile dotato di sentimento e ragione.
Del resto, il grano e la zizzania convivono senza problemi, come le croci sulle vette convivono con la nostra storia, il nostro paesaggio, la nostra cultura.
Il problema nasce quando qualcuno, l’impero della cultura del quinto del mondo benestante vuole estirpare la zizzania rappresenta dai 4/5 del mondo che fatica.
Estirpare, che parola orribile.
Questo è il tema, perché con questo obbiettivo stampato nella testa, ogni situazione, attraverso la retorica pervasiva dell’informazione “pubblica” viene artefatta e portata a pretesto per una crociata alla carta, come sui poveri migranti.
Del resto, piccoli uomini, piccoli pensieri.
Il dato triste, “conclusivo”, è stato a mio avviso la decisione del CAI di scusarsi con il Ministero per una cosa che non aveva detto o promosso. Ho letto questo non tanto come un tentativo di ricomposizione della vicenda quanto piuttosto un rientrare rassegnato, e forse convito, nei ranghi di quel pensiero unico che brevemente ho provato a descrivere.
Divisiva non è la croce, è l’uomo.
Grazie per questo bellissimo articolo, aiuta a ricomporre la storia, purtroppo molto spesso sconosciuta ai più.
Come alpinista mi sento di sottolineare che le croci non sono il tema, il tema forse è la comprensione dell’esperienza che senza dubbio trascende la percezione umana. Si sale e si va incontro all’ignoto, ogni passo, ogni gesto viene affidato alla tua esperienza ma anche a qualcosa d’altro. Non occorre essere credenti per capire che c’è una dose di mistero in ogni salita e l’appagamento della vetta raggiunta lascia, nella stragrande maggioranza dei casi, spazio alla meraviglia del creato e alla grandezza della montagna stessa. La croce sta lì così come un ometto, ma è quello che accade dentro il cuore (per dirla in termine ebraico) che fa la differenza. Chi accende polemiche in questo senso lo fa per speculare, una volta in più.
Più silenzio e contemplazione sulla meraviglia che la montagna può regalare, più silenzio e meditazione potrebbe aiutare.
Come sostiene un proverbio arabo “Se ciò che dici non migliora il silenzio…non dirlo!”
Grazie prof.
Grazie anche a Lei, Paola, per il felice commento che integra il limpido approfondimento dell’amico Ledo su un tema caro a chi frequenta la montagna ma, non per questo, noto a tutti, essendosi sedimentato nel tempo durante differenti stagioni ed oggi pure travisato. Mi sorge il dubbio di non aver migliorato il silenzio!
Grazie Ledo. Hai ricomposto una assurda vicenda che ha veramente devastato la credibilità dei tanti soci CAI messi di fronte a una presa di posizione del PG del tutto fuori luogo.
La montagna è ineffabile, metafora della vita, lotta per la libertà, esperienza assoluta, e come tale merita tutto il nostro rispettoso silenzio.
L’Alpinismo UNISCE oltre i confini umani di lingua o religione.
Perché polemizzare, dividere, seminare zizzania su tutto?
Lasciamo quelle che già ci sono e non mettiamone altre altrimenti filosofeggiare attorno a questioni come questa, formulare sterili sofismi, fa dimenticare i veri problemi dell’ambiente montano e della gente che ancora vi risiede.
Saluti, Mario
Grazie per l’approfondimento. Sono certo che chi voleva fare polemica avrebbe difficolta a leggere l’articolo dall’inizio alla fine traendone un senso. Rimango stupito dalla dichiarazione ufficiale del mio Presidente Generale.