Reportage

#73 EVEREST BASE CAMP E 3 PASSI

testo e foto di Andrea Alessandrini  / Angera (VA)

01/01/2021
9 min
Il Bando del BC20

Everest Base Camp e 3 Passi

di Andrea Alessandrini

Dopo aver percorso il circuito dell’Annapurna, quando salutai il Nepal ero sicuro che sarei tornato per andare all’Everest Base Camp.

Una delle cose che mi è piaciuta tantissimo del trekking dell’Annapurna è stata la sua circolarità, ossia camminare quasi sempre in paesaggi diversi.
Questa premessa è fondamentale per la scelta del trekking. Infatti, ero certo che il trekking successivo in Nepal sarebbe stato nella zona dell’Everest, ma la passeggiata andata e ritorno fino all’Everest Base Camp non mi convinceva. La stessa Lonely Planet consigliava l’”extreme challenging” Three Passes: questo trekking avrebbe incluso comunque l’EBC ed il Kala Patthar, ma avrebbe incluso ulteriori tre passi, tutti ampiamente superiori ai 5000 metri.

Dopo aver trovato un buon volo, ho trovato incredibilmente anche compagnia: dopo la camminata fino al Capanna Margherita in Italia e fino alla vetta del Kilimanjaro, il buon Gaddo si è deciso ad accompagnarmi, almeno per una tratta del cammino.

Appena arrivati a Kathmandu, abbiamo subito quello che non si dovrebbe mai fare prima di un trekking in altitudine: abbiamo infatti girato i principali bar della città, anche per dimenticare la sconfitta dell’Italia in Svezia, partita valida per lo spareggio-qualificazione al Mondiale di calcio. Ripresi a fatica dalla sbornia, abbiamo finalmente messo in la macchina organizzativa: abbiamo prenotato un volo per l’indomani e camminando per Kathmandu ho comprato degli utilissimi bastoncini da trekking.

Giorno 1: Lukla – Ghat
Abbiamo comprato il famosissimo volo Kathmandu – Lukla con la compagnia Sita Airlines (non posso minimamente consigliarla, ed il perché è intuibile nei video: comunque, tutte le compagnie sono in lista nera): il volo è partito con un ritardo di cinque ore e l’aereo era di una scomodità incredibile: abbiamo dovuto letteralmente strisciare sopra dei cartoni per arrivare ai nostri sedili.

Ed eccoci quindi a Lukla, con i nostri bei zaini da 70 litri e 11 chili. Siamo arrivati a Lukla verso le 13, e dopo un lauto pasto dove la domanda base era “ma veramente stiamo iniziando a camminare per 17 giorni?”, siamo partiti. Il primo giorno è stata una semplice camminata fino a Ghat: il sole stava tramontando e non aveva senso continuare. Le sensazioni erano più o meno positive, pronti per la lunga camminata del giorno dopo.

Giorno 2: Ghat – Namche
La giornata da Ghat a Namche è stata decisamente lunga, sia sui sentieri sia nei bar. Poco dopo Ghat siamo entrati nel Parco, e da lì è stato un lento salire. Dopo una pausa pranzo a Manjo, siamo arrivati a Jorsale: da qui, attraverso un paio di bellissimi ponti, il sentiero inizia decisamente ad inerpicarsi. In questa parte io non ho avuto nessun problema particolare, mentre Gaddo non ha apprezzato molto le prime dure pendenze ed ha iniziato a pensare ad un eventuale sherpa.

Arrivati a Namche in qualche modo, abbiamo iniziato a festeggiare il mio 33esimo compleanno: dopo un paio di birre all’aperto, siamo passati a mangiare e bere al Cafe Danphe Bar. Questo bar si presentava come l’unico bar aperto 24 ore in tutta Namche: se vi chiedete ‘Perchè mai un bar dovrebbe essere aperto 24 ore a 3400 metri?’ la risposta nel nostro caso era ‘C’è il ritorno di Italia – Svezia’. Dopo aver mangiato il primo yak del trek, abbiamo salutato il proprietario confermando la nostra presenza per l’1.30 di notte.

Fiduciosi nella rimonta, ci siamo presentati puntualmente al bar: la porta era a chiusa, ma a suon di pugni sulla porta il proprietario si è svegliato e ci ha accolto con un “spero che abbiate sete”. Dopo varie birre e vari rum nepalesi, siamo tornati in albergo alle 3.30 alticci ed eliminati dal Mondiale.

Giorno 3: Riposo con camminata fino all’hotel Everest View
Ovviamente vi staranno sorgendo dubbi: ma questi sono andati in Nepal per bere o per camminare? In realtà, l’idea di far combaciare Namche Bazar con il mio compleanno e con Italia – Svezia era perfetta in quanto il giorno dopo avremmo “riposato”. Ecco, forse non ci aspettavamo un hangover così grande, ma siamo riusciti comunque a camminare fino all’Hotel Everest View dove… abbiamo ovviamente visto l’Everest (grande fantasia nei nomi!) Dopo esserci rifocillati e riempiti gli occhi di tanta bellezza, siamo ritornati a Namche, dove Gaddo ha trovato il suo buon porter, a cui avrebbe rifilato lo zaino da 12 chili.

Giorno 4: Namche – Dibuche
Abbiamo lasciato Namche Bazar in tre dunque: io, Gaddo e il suo porter. La giornata è stata molto facile, con belle viste sull’Ama Dablam: questa montagna è decisamente un simbolo da queste parti, ed è anche una delle più difficili da scalare. Abbiamo deciso di non dormire a Tengboche, cittadina che ospita un monastero, ma a Dibuche: scendere di 150 metri e dormire a 3750 metri è stata un’ottima idea!

Giorno 5: Dibuche – Dingboche
Da Dibuche a Dingboche è stata un’altra giornata non difficile, anche se abbiamo superato decisamente i 4000 (Dingboche è già 4300 metri): i punti più panoramici sono stati verso la fine del cammino, quando è possibile ammirare l’Ama Dablam in tutta la sua grandezza davanti e la bella vallata che porta fino a Chukkung. A Dingboche abbiamo passato due notti (è fortemente consigliata una seconda giornata di acclimatamento prima di salire a quote più alte): la prima notte non è stata esattamente rilassante in quanto ho sofferto di sonnambulismo. Da qui in poi non avremmo avuto più connessione telefonica: avremmo dovuto comprare schede wifi di 200 MB per 6 euro.

Giorno 6: Riposo con salita al Nangkartshang Peak (5000 m)
Il secondo giorno di “riposo” ci ha portato con una facile camminata fino a Nangkartshang Peak: facile nel senso che è una camminata corta, meno facile per il problema dell’altura, visto che siamo arrivati a 5000 metri esatti! Il panorama da questo Peak è veramente incredibile: si possono ammirare l’Ama Dablam e il suo lago, il Lhotse, il Nuptse e il Tobuche.

Dopo essere rientrati felici a Dingboche, mi sono accorto che la reflex aveva un problema: si notavano dei punti neri nelle foto scattate. Ho cercato di sistemare questo problema pulendo la camera per tutto il pomeriggio: all’improvviso Gaddo, che nel frattempo era diventato campione del mondo di vari giochi per l’Iphone, ha deciso di aiutarmi e come primo ed unico risultato ha rotto la scheda SD. La guesthouse che ci ospitava aveva giusto una scheda SD da 16 GB, che a quell’altitudine valeva 50 euro (tipica situazione “vedere denaro, dare cammello”, e in questo caso il cammello ossia la scheda SD era fondamentale, visto che nel frattempo i punti neri erano praticamente tolti).

Giorno 7: I laghi di Ama Dablam e Dingboche – Lobuche
Visto che la giornata prevedeva una facile camminata di 7 km per arrivare a Lobuche, in mattinata ho decisto di andare a vedere i laghi dell’Ama Dablam. Da Dingboche si impiega poco più di un’ora per arrivare a questi laghetti di colore turchese che si trovano esattamente di fronte all’Ama Dablam: è una deviazione consigliatissima! Nel pomeriggio io, Gaddo e la guida siamo arrivati a Lobuche: a 4650 metri il freddo era già decisamente poco sopportabile, e Gaddo ha sofferto in particolar modo la nottata.

Giorno 8: Chukkung – Lobuche via Kongma la Pass (5535 m)
Il giorno del primo passo. Da Chukkung ci sono sostanzialmente tre grossi scalini per arrivare ai 5535 metri di Kongma La Pass. Ad un certo punto, quando il fiato è già ridotto ai minimi termini, si passa di fianco a dei laghi spettacolari: ma è la vista dal passo che toglie veramente il fiato, in tutti i sensi! La discesa verso Lobuche è lunga e la parte dell’Everest Glacier (che non è un ghiacciaio, ma una sassaia) è veramente infinita. Sono arrivato a Lobuche stanchissimo, mentre Gaddo era decisamente più fresco rispetto a me: la felicità era tantissima, e leggere nella guesthouse che la capacità polmonare a quelle altitudini è dimezzata ci ha inorgoglito parecchio.

Giorno 9: Lobuche – Gorak Shep
Da Lobuche con una facile camminata di due ore siamo arrivati ai 5100 metri di Gorak Shep. Qui abbiamo pranzato, abbiamo lasciato gli zaini e abbiamo camminato fino all’Everest Base Camp: qui ho avuto una grandissima sensazione di riverenza, sia per la montagna sia per tutte le grandi spedizioni che da qui sono partite. Sinceramente, ho ancora addosso la sensazione di rispetto verso quei grandi scalatori che hanno dormito lì in attesa di scalare la montagna più alta del mondo. Siamo tornati a dormire a Gorak Shep.

Giorno 10: Gorak Shep – Lobuche via Kala Patthar (5545 m)
Questa è stata un’altra grande giornata. In mattinata siamo saliti al punto più alto di tutti i 17 giorni: Kala Patthar. Per arrivarci, bisogna percorrere un sentiero molto ripido, ma il risultato è veramente qualcosa di indescrivibile. Ripresi gli zaini che avevamo lasciato a Gorak Shep, siamo scesi di nuovo a Lobuche passando per la piramide italiana.

Giorno 11: Lobuche – Dzonghla
Il giorno dei saluti a Gaddo e al suo porter. Gaddo ormai era arrivato ad una situazione #enough: da Dingboche in poi eravamo sempre stati sopra i 4000 metri, senza mai una doccia, dormendo in guesthouse fredde. Comprensibilmente, Gaddo ha deciso di tornare a valle: il momento del saluto è stato lungo, visto che ero un po’ dubbioso sul continuare da solo. Gokyo però mi chiamava, e al rifugio di Dzonghla (dove la temperatura notturna era -2 Celsius, nella stanza più calda) ho trovato compagnia e, incredibilmente, anche dei mini ramponi che sarebbero serviti per la giornata successiva.

Giorno 12: Dzonghla – Dragnag via Cho la Pass (5420 m)
Il giorno 12 prevedeva la salita del Cho La Pass, l’unico passo con neve. I ramponi mi hanno aiutato un po’, anche se devo ammettere che nell’ultima parte della salita mi sono trovato un po’ in difficoltà. Questo passo è a mio parere il meno bello dei tre, ma ha il merito di unire la zona dell’EBC con Gokyo. Sono arrivato a Dragnag stanchissimo, ma pronto per Gokyo, che ormai era vicina.

Giorno 13: Dragnag – Gokyo
In due ore e mezza io e gli altri ragazzi siamo arrivati a Gokyo. Abbiamo deciso di dormire in una Guesthouse vicino al lago, dove sono diventato amico di Cameron e Raoul (con Tom ci saremmo ritrovati a Namche invece). Nel pomeriggio ho deciso di salire i 500 metri che portano fino a Gokyo Ri, e i miei occhi si sono riempiti di bellezza un’altra volta: la scalata che porta fino a Gokyo Ri è decisamente ripida, anche se ormai ero acclimatato e sono dunque salito velocemente. Il panorama dalla cima è maestoso: il lago, Gokyo, l’Everest e le altre montagne sono un ricordo incredibile!

Giorno 14: Riposo ai laghi di Gokyo
In mattinata andai a visitare i laghi di Gokyo, da cui sinceramente mi aspettavo qualcosa di più in termini di bellezza (non significa che siano brutti, ma che altri panorami in questi 17 giorni sono assolutamente meravigliosi!). Nel pomeriggio ho lasciato la GoPro al freddo e al gelo mentre io mangiavo delle ottime torte nella pasticceria di Gokyo: a pancia piena ho apprezzato il timelapse ottenuto! In serata ho salutato Cameron e Raoul con un po’ di whiskey.

Giorno 15: Gokyo – Lumjung via Renjo La (5320 m)
Il terzo e ultimo passo è il Renjo La: con i suoi 5320 metri è il più basso dei tre, ma come punto panoramico è di una bellezza abbagliante. Per arrivare a Renjo La non si sale molto ma bisogna prestare attenzione ad alcune parti che sono leggermente ghiacciate. Il mio sorriso spiega tutta a mia felicità: ormai dovevo scendere, il più era fatto. Lumjung è stato l’unico paese dove non ho trovato wifi.

Giorno 16: Lumjung – Namche
Da Lumjung a Namche è stata una lunga camminata per le valli dell’Everest: ho trovato anche un gruppo di matti che stavano correndo i 42 km della Maratona dell’Everest. Questo è stato il primo giorno dopo il giorno 4 sotto i 4000 metri: ciò significa che ho trascorso 12 notti sopra i 4000 metri. Arrivato a Namche, mi sono incontrato con Tom e siamo andati a festeggiare la ormai imminente fine del trekking con i maratoneti all’Irish Pub. Da segnalare che sono stato sotto la doccia per 25 minuti: dopo 12 giorni è un momento meraviglioso!

Giorno 17: Namche – Lukla
L’ultimo giorno di cammino è stato un dolce amaro saluto al Monte Everest: nell’ultimo punto panoramico ho incontrato Raymond Renaud, un grandissimo scalatore francese, che a 77 anni era ancora in zone nepalesi a fare fotografie alle montagne. Arrivati a Lukla, dopo le doverose birre di fine trekking, abbiamo notato che il tempo era decisamente peggiorato. Io e Tom abbiamo deciso di pagare così 150 euro in più e tornammo a Kathmandu in elicottero: un degno finale di 17 giorni epici!

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foto:
1. Everest e Gokyo visti da Renjo La.
2. Ama Dablam ed il suo lago.
3. Vista da Kala Patthar (5545 metri, il punto più alto del trekking).

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Andrea Alessandrini

Andrea Alessandrini

Ciao! Sono Andrea Alessandrini, un blogger, viaggiatore, runner e ciclista: lasciatemi negli spazi aperti e sono felice!


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