Racconto

ADVENTSFENSTER, LA FINESTRA DELL’AVVENTO #1

Erano i giorni dell’Adventsfenster, un’antica tradizione che passeggiava saltellando per i vicoli e lasciava sulla neve impronte nitide, persistenti.

testo di Laura Bortot  / Thiene (VI)

Val Canale, Gruppo Secco-Foppa-Valmora, ottobre 1912 (Archivio Fotografico Guido Ferrari)
14/12/2022
3,5 min
Il bambino si avvicinò alla finestra. Nel paese aggrappato alla montagna, e quindi un po’ più vicino al cielo degli altri minuscoli borghi a graticcio, le finestre erano tanti occhi muniti di occhiali, con lenti suddivise in riquadri.

Da un lato, in lontananza, il lungo lago svizzero, dall’altro, a un passo, la piccola vita della strada.

Erano i giorni dell’Adventsfenster, un’antica tradizione che passeggiava saltellando per i vicoli e lasciava sulla neve impronte nitide, persistenti. A turno le case addobbavano una finestra affacciata sul selciato: luci, rami di abete, frutta secca. La finestra addobbata significava accoglienza, condivisione, era una porta aperta, un sorriso. Chiunque, un amico, uno sconosciuto, verso sera poteva suonare ed entrare in quella casa. Ci si sedeva intorno a un tavolo e si mangiavano insieme i biscotti di Natale, si chiacchierava, si raccontava, si intrecciavano fili sottili di relazioni da nutrire, o da costruire.

Il bambino si sollevò sulle punte dei piedi. La finestra era alta. O era lui che non ci arrivava. Sotto le scarpe sentì scricchiolare la neve ghiacciata.

Appoggiò il mento sul davanzale. Il riquadro di vetro che incorniciava perfettamente il suo viso si appannò subito. Il bambino rimase un attimo a riflettere, timoroso. Poi raccolse tutto il suo coraggio, si tolse il guanto e con l’indice sfiorò appena il vetro, cercando di non farlo tintinnare. Disegnò da principio solo un quadratino, giusto uno spiraglio per un occhio, poi attese. Dietro la finestra nessun movimento. Quindi allargò il pertugio seguendone il profilo, sempre con lo stesso dito. Una, due, tre volte. E si riappropriò del suo riquadro.

Al di là del vetro vide una cucina. Era di legno, con mensole e mobili che si arrampicavano disordinati sui muri storti, e un subbuglio di oggetti di ogni tipo, piatti, tazze, bicchieri, mazzetti di erbe aromatiche appesi a testa in giù, gnomi e altre creature del bosco che spiavano da ogni angolo, una pentola sul fuoco che sbuffava e questionava con un coperchio imperioso, il quale trotterellava sollevato dal vapore e si incaponiva a voler fare il coperchio.

Sul frigorifero calamite colorate stavano guancia a guancia con foglietti di carta disegnati da una mano bambina. O forse da due mani, di età diverse.

Poi improvvisamente lo spazio del riquadro si animò. Entrò una mamma (era la mamma della casa?), che tolse il coperchio e buttò nell'acqua le patate. Un gesto brusco, senza cura.

Il coperchio finì nel lavello, le patate precipitarono nella pentola spruzzando dappertutto acqua bollente. La cucina ebbe un sussulto, come scossa da un brivido.

Il bambino sparì rapido sotto il davanzale, ma dopo poco riapparve: prima gli occhi, poi il naso rosso infreddolito, poi la bocca, infine il mento.

La mamma della casa non se ne accorse. Il suo volto era contratto, la bocca si muoveva concitata e articolava parole mute, al di là del vetro, parole che però evidentemente si accapigliavano, si strattonavano, e rimanevano ferite. Il bambino vide brandelli di quelle parole aleggiare per qualche secondo nella stanza. Poi il vapore della pentola li catturò, li imprigionò in una ragnatela di odori e suoni impercettibili e li condusse in altre direzioni.

Il bambino li seguì con lo sguardo. E vide altre cose: vide un papà (era il papà della casa?) anche lui con la bocca aperta che tracimava parole pronte a schiantarsi contro quelle già in volo; vide i loro urti, collisioni verbali che dispersero scintille di fuoco e spirali compatte come il dolore; vide una porta socchiusa che nascondeva due occhi piccoli, alti poco più di mezzo metro; vide una scala a chiocciola nascosta in un angolo del riquadro, e una bambina acchiocciolata sotto l’ultimo gradino di legno.

Poi le bocche smisero di muoversi, e nella cucina tutto si fermò. Il bambino sentì il silenzio, lo sentì distintamente. Il silenzio gli parlò e gli spiegò ogni cosa.

Forse era vero che durante l’Avvento a turno le finestre del paese si abbigliavano ognuna in maniera diversa, pensò il bambino, ma in realtà si somigliavano tutte. Dietro i vetri delle case la vita sbuffava disordinata, a volte cattiva, e lasciava segni negli occhi, e nei pensieri, e nei sogni. Poi però arrivava il silenzio, e la calma, e magari il sorriso. I segni rimanevano, certo, ma servivano da appigli per scalare le montagne, per qualcuno le montagne erano più alte, per altri più basse.

Eppure dalla cima si vedeva sempre il sole, e il lungo lago svizzero che accarezzava la terra imbiancata di neve.

"Dietro la spalla stanca". Il Natale di Altitudini 2022.

Anche quest’anno per farvi gli auguri di Natale, abbiamo preparato un piccolo calendario dell’Avvento, segnato da quello che rende prezioso il nostro magazine, che ci condurrà al prossimo Natale.

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Palle di natale 2022_03
Laura Bortot

Laura Bortot

Amo le montagne e amo le parole. La montagna mi insegna a usare le parole come segnavia. Ogni tanto sono le parole ad aprire una via.
Sono traduttrice letteraria: cammino su due versanti, la lingua tedesca e la lingua italiana, vegetazioni diverse, scorci diversi. Ogni giorno attraverso felice questi territori.


Il mio blog | altitudini.it è la mia rivista digitale: mi fa viaggiare, camminare. In altitudini la vita e la montagna nutrono la scrittura e la scrittura lascia un segno nella vita e nella montagna.
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5 commenti:

  1. Luca ha detto:

    che bello iniziare la giornata così. con queste parole lievi.

  2. antonio viotto ha detto:

    molto bello, magico.grazie

  3. Marco Rossignoli Marco Rossignoli ha detto:

    Ciao Laura, mi hai portato lontano, grazie.

  4. luisa ha detto:

    …che meraviglia questo blog! L’ho scoperto ora. Grazie Laura

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