Reportage

Montagne di frontiera

testo e foto di Marco Favero

10/06/2020
4 min
Chi abbia letto ″Un'escursione al Colle Sià, di Gian Piero Motti″, può immaginare il fascino di questa zona del Parco Nazionale del Gran Paradiso.

Stiamo parlando della Valle Orco. “Profonda, incassata, offre sempre paesaggi decisamente occidentali, severi e grandiosi, quadri e vedute dove predominano le linee geometriche dure e spezzate, i contorni ruvidi e aspri: caratteristiche comuni, d’altronde, anche alla gente”.
Siamo qui in uno di quei giorni che Gian Piero avrebbe definito della “primavera alpina”, quando la strada del Nivolet è ancora in parte chiusa e si ferma al Lago del Serrù. Da qui, con gli sci inizialmente a spalle, è possibile intraprendere percorsi selvaggi e di grande respiro.

Stiamo parlando di esperienze che di questi tempi sono quasi una necessità, dopo mesi di digiuno dall’aria salubre delle Alpi. Siamo appena usciti dagli “arresti domiciliari” imposti dalla grande pandemia, capace di far scricchiolare ogni promessa delle nostre giovani democrazie. Capace anche di rivelare tutte le debolezze di un’Europa che si vorrebbe unita, eppure pronta a cedere alle paure ed agli egoismi nazionalistici.

Così negli ultimi tempi più che mai abbiamo riscoperto i rigori dei confini e dei divieti, in una società un po’ più distopica e primitiva. Delatori di turno si aggirano per strada aggredendoti per farti stare a casa, mentre la TV è tornata all’Istituto Luce del nuovo ventennio. I cosiddetti “runner” sono i più perseguitati, mentre la malasanità fa danni nelle case di cura e negli ospedali, dove le mascherine servirebbero davvero e spesso non ci sono.

Nel mondo alpinistico la follia raggiunge vette mai viste prime. Alcuni accademici del CAI propongono severe norme per arrampicare in sicurezza, con il dovuto distanziamento [1]. La proposta ha determinato una tale disapprovazione che l’esilarante testo non è più disponibile nella forma originale.
C’è di meglio: Federparchi propone aree protette in cui lasciar prendere un po’ d’aria alle persone, a tempo, controllati da una app. Sembra la trovata di un qualche film di fantascienza dove detenuti pericolosi sopravvivono su ostili pianeti-prigione, ma anche questa è vera [2]!
Infine la migliore: andiamo in montagna sì, ma solo con la guida! Gli altri sono fuorilegge. Anche da questa chicca i primi a capire il boomerang e prendere le distanze sono state le stesse guide alpine [3]. Il periodo più folle è passato, si spera, ma non dimentichiamoci che c’è chi queste cose le ha sostenute seriamente.

Da tutto questo ci salva, almeno in parte, almeno ci prova, la montagna. Una montagna che già storicamente rappresenta l’unione e la solidarietà delle genti, dove spesso i confini sono solo linee sulla carta. Di recente queste linee sono molto più rigorose, eppure effimere, dal momento che i cambiamenti climatici mutano in continuazione quegli spartiacque [4], creando nuovi imbarazzi e contese tra le nazioni.
Ma almeno oggi queste montagne sono per noi vero isolamento, distanziamento dalla follia e dai virus. In definitiva prive di confini. Con questo giro ad anello superiamo un paio di spartiacque, su spettacolari scenari di alta quota.

Dal Lago di Serrù si sale infatti baciati dal primo sole e dai primi fiori primaverili verso l’altopiano del Nivolet, dove i torrenti si aprono ampie anse tra la neve. Per ripidi canali, sci ai piedi si raggiunge il Ghiacciaio Basey, tramite il quale per dolci pendii il castello sommitale dell’omonima cima.
Lo sguardo viene rapito dalle luminose montagne dei Parchi de la Vanoise e del Gran Paradiso, che qui si uniscono in un’unica grande area protetta tra Francia e Italia. Dalla cima si scende al Col Nivolettaz e quindi sul Glacier du Fond Levassey, in Val d’Aosta, dove nasce la Dora di Rhemes. Quindi per ampi pendii risaliamo la Punta Galisia. A tratti un gradevole tepore rende piacevole la sosta sul punto sommitale, tant’è che i primi fiori contendono ormai gli spazi alla neve che scioglie.

Impossibile resistere alla tentazione di scendere anche in Val d’Isere, sul Glacier de Bassagne. In breve una splendida sciata su pendii poco inclinati ci deposita a circa 2700 metri, sotto il Grand Cocor.
Ci sono due possibilità ora per tornare in Italia. Risalire il vicino Passo Galisia, mai poi tocca scendere il ripido Gran Colluret. Oppure, meglio, procedere ad un lungo traverso poco inclinato, che tra splendidi panorami conduce al Passo della Vacca.
Da qui, ormai esausti, scendiamo il Ghiacciaio della Losa, oltre il quale un ripido pendio conduce all’ampio Pian Ballotta. Non è finita, c’è ancora da scendere il breve, ma intenso, Piccolo Colluret.
Questo non si può proprio evitare. Un arduo couloir a gomito, con inclinazioni che arrivano a 45° su neve piuttosto disordinata. Finita quest’ultima strozzatura non resta che il lungolago del Serrù per tornare al punto di partenza.

Tra vari saliscendi abbiamo percorso circa 1900 metri di dislivello. A volte bisogna fare un po’ di fatica per trovare la vera bellezza, ma cercarla financo tra regioni e stati proibiti di questi tempi è più che mai un obbligo.
La vera bellezza è qui. Non se n’è mai andata. A noi basta riconoscerla e poterla raggiungere.

____
[1] Covid-19: una proposta di protocollo per la ripresa dell’alpinismo www.planetmountain.com/it/notizie
[2] Coronavirus: Federparchi, app per evitare assembramenti www.ansa.it/canale_ambiente
[3] La proposta della guida Di Federico www.appennino.tv/2020/04/15
[4] Il ghiacciaio si scioglie e il confine si muove www.ohga.it/il-ghiacciaio-si-scioglie

Marco Favero

Dalle Valli di Lanzo. Mi perdo dietro le nuvole, fotografia, meteorologia; è troppo grande il cielo per capirlo al volo.


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