Racconto

#70
METANOIA

Gli occhi cominciarono nuovamente a bruciare. Da quanto tempo stava salendo? Li chiuse per qualche istante e li sentì lacrimare.

testo e foto di Paolo Colombo

Ricognizione
28/01/2022
7 min
Marco_Rossignoli_014

Metanoia

di Paolo Colombo

Gli occhi cominciarono nuovamente a bruciare.
Da quanto tempo stava salendo?
Li chiuse per qualche istante e li sentì lacrimare.

Respirò a pieni polmoni, lasciando che le lacrime solcassero le guance, dopodiché strabuzzò gli occhi, li riaprì e rimise a fuoco.
Erano immersi in una candida distesa di neve e ghiaccio.
Il riverbero del sole li accecava.
Ciononostante, un passo dopo l’altro, continuavano a salire.
Un passo dopo l’altro, mentre i respiri li inseguivano.
Da quanto stavano salendo?
Ebbe la tentazione di controllare l’orologio, ma poi resistette.
Ne avevano ancora da fare e controllare l’ora sarebbe stato inutile, anzi, addirittura controproducente.
Doveva salire, non importava quanto tempo ancora avrebbe richiesto.
Non poteva rimanere indietro.
Non dopo tutto quello che aveva fatto per prepararsi.
Non era mai salito così in alto.
Faceva freddo.
Ma lui si era preparato.
Si era abituato al freddo.
Bonatti bivaccava di notte sul terrazzino ed anche lui aveva fatto lo stesso.
Il freddo.
Il freddo aveva imparato a conoscerlo bene.

The Dark Side Of The Moon.
Ecco cosa gli ricordavano.
Come da un prisma la luce usciva scomposta in tutte le sue componenti spettrali, dalla pista immacolata scendevano decine di tute colorate.
Le osservava mentre si trovava sulle piste da sci, per abituarsi al freddo.
Stava studiando il ghiaccio e la neve.
Doveva conoscerli bene per essere pronto per il progetto che stava preparando.
Neve e ghiaccio, le materie evanescenti.
Scalare su ghiaccio era come nuotare.
Di fatto ci si muoveva su molecole d’acqua.
Due atomi di idrogeno, uno di ossigeno.
Legati su di una distesa che a tratti pareva infinita.
Mari solidi.
Che strana la montagna.
Pensò alla forma del mondo come descritto nella Bibbia: acqua e terra.
Le acque e la terra che le divideva.
Le acque di sotto e quelle di sopra.
Era così inverosimile?
Il mare, poi la terra, poi, salendo sulle montagne, fossili di animali marini ed infine i ghiacciai, quindi ancora acqua.
L’acqua che evapora si condensa e cade nuovamente depositandosi in cima alle montagne.

Riaprì gli occhi e vide cadere la neve.
Pensò a tutti quei piccoli cristalli.
Così simili, ma così diversi.
Aveva letto che dei ricercatori giapponesi ne avevano catalogati oltre tremila esemplari differenti.
Dava di che riflettere.
Ogni fiocco di neve, oltre ad essere differente nella dimensione, lo era anche nella forma.
Quella distesa bianca, che gli pareva tutta uguale, era composta da una moltitudine di forme differenti.
Ogni fiocco che gli cadeva addosso poteva essere diverso dal precedente.
Assecondava i pensieri, per non dar peso alla fatica.

“Il mare, poi la terra, poi, salendo sulle montagne, fossili di animali marini ed infine i ghiacciai, quindi ancora acqua“

Preparativi

Cristalli.
La parola stessa aveva qualcosa di poetico.
Rimandava a qualcosa di prezioso, qualcosa da custodire gelosamente.
Ed in effetti era così, si trovò a riflettere.
I cristalli erano composti di acqua, fonte di vita.
L’acqua era alla base della neve, l’origine di quel candore, di quell’incanto.
Pensò agli atomi come note musicali.
Così come sette note potevano dare origine ad una ballata, ad un’opera, ad un brano metal, così i tre atomi che compongono l’acqua potevano originare un placido ruscello, l’impeto di una cascata, la delicatezza di una stalattite, la potenza di una valanga.
Scalare sul ghiaccio era davvero un po’ come andare per mare.
Le piccozze erano i suoi remi.
Si fermò nuovamente.
Cominciava ad essere veramente esausto, ma quel concatenamento era troppo importante per lui, ci aveva investito troppo tempo ed energie.
Non poteva mollare.
Cercò di recuperare e riannodare tra loro i pensieri.
Doveva tenerli legati a sé, perché pensare lo aiutava a non sentire troppo la fatica.
Tenerli legati, legami, legami covalenti, l’acqua, ecco sì, li aveva ritrovati.
Acqua, ghiaccio e ancora acqua.
I ghiacciai come oceani, lui come marinaio.
Era ancora giovane, ma in quel momento si sentiva come il vecchio descritto ne “Il vecchio e il mare”, impegnato in una sfida impari.
Lui che si misurava con la montagna.
O meglio, lui che si misurava con la sua forza di volontà.
Era sufficientemente forte?
Poteva scoprirlo solamente andando avanti.
Ripensò al mare.
Alla fine poco cambiava dalla montagna.
Nelle rocce si trovavano i resti di animali marini.
Le rocce stesse erano state sul fondo del mare.
Era forse quindi solamente questione di prospettiva.
O di sensibilità.
Ecco, forse era quello.
In fondo lui era un esploratore.
Alpinista, navigatore, quelli erano solamente titoli, che servivano alla gente per poter catalogare le cose nella giusta categoria.
Alpinista va con montagna.
Navigatore va con mare.
Esploratore, invece, suona sempre troppo vago.
Aveva scelto la montagna perché gli offriva molta più varietà rispetto a quello che poteva offrirgli l’oceano.
Ciò che desiderava era vedere luoghi, voleva riempirsi gli occhi di bellezza.
Fare il pieno di bellezza era qualcosa di estremamente importante per lui.
Cercare la bellezza per sfuggire alla monotonia nella quale il quotidiano cerca sempre di intrappolarti.
Costava fatica, certo, stare fermo era decisamente più semplice e comodo.
Ma lo stare fermo uccide lentamente.
C’erano tanti modi di stare fermo.
Quello fisico, certo, ma anche quello della mente.
Una mente senza sogni, priva di desideri, era una mente morta.
Sognare una cima, invece, desiderare di raggiungerla, era qualcosa in grado di smuovere dal torpore.
Ripensò a tutti gli articoli che aveva letto nei quali si sosteneva che l’importante era il modo in cui si saliva, piuttosto che il raggiungere una cima.
Era tendenzialmente d’accordo, tuttavia non era del tutto convinto.
Raggiungere una cima per lui era importante.
Significava raggiungere un obiettivo, portare a termine qualcosa.
In un mondo in cui sempre più spesso non si vedono i frutti del proprio lavoro, è importante trovare un fine da qualche parte.

“Alpinista va con montagna. Navigatore va con mare. Esploratore, invece, suona sempre troppo vago“

Dislivello

Avventura

Gli occhi ripresero a lacrimare, stavolta con più insistenza.
Li richiuse e si passò le mani sugli occhi per asciugarli.
Doveva fermarsi a riposare un momento, non riusciva a vedere più nulla.
Abbassò lo sguardo, si sforzò di leggere le cifre e fece un rapido calcolo.
Sì, doveva fermarsi a riposare.
Stava scalando ininterrottamente da quattrocento pagine, doveva prendersi una pausa.
Chiuse il libro e spinse un po’ indietro la sedia a rotelle.
Guardò la scrivania.
Era stracolma di libri, cartine, schizzi di montagne e di vie.
Aveva pianificato con cura quel viaggio.
Un concatenamento perfetto, accompagnato dai più grandi scalatori della storia.
Una dietro l’altra, Grandes Jorasses con Cassin, Cervino con Bonatti, Cima Grande con Comici, per poi volare in Karakorum sul Gasherbrum IV di nuovo con Bonatti e per concludere con l’Everest.
Da quando aveva iniziato aveva scalato con i migliori ed era loro grato perché avevano accettato di portarlo con loro.
Avevano riversato le loro emozioni su carta e quelle parole erano diventate la corda che li univa.
Una corda nera d’inchiostro.
Grazie alle loro parole, alla loro sensibilità, era stato in grado di provare le vertigini, di percepire il freddo, provare la stanchezza, la spossatezza, assaporare la gioia e la paura.
Ma l’immaginazione da sola non gli bastava.
Dopo qualche lettura aveva capito che doveva in qualche modo fare la sua parte.
Glielo doveva, per tutte le emozioni che gli avevano donato.
Decise che avrebbe sperimentato lui stesso il freddo, la vertigine, la fatica.
Ripensò alle notti passate sul balcone di casa, immobile, con indosso pile, piumini e coperte.
Gli tornarono alla mente i chilometri macinati sulle ciclabili del suo paese mentre, spingendosi, le mani si facevano più forti e callose.
Aveva sperimentato tutto questo per rendere ancora più reale quello che viveva nella sua mente, grazie alle pagine dei suoi libri.
Quella salita sarebbe stato probabilmente il suo ultimo grande progetto, il suo canto del cigno.
Non rimanevano più grandi scalate, perché gli alpinisti non scrivevano più come un tempo.
Non aveva nulla contro la moderna arrampicata, l’unico problema è che non lo faceva sognare.
Aveva provato ad immedesimarsi, ma il problema era che quelle relazioni parevano dei cifrari, dei messaggi in codice.

6b, 4c, 5c-, 7a-, 8b+.
Sembrava di giocare a battaglia navale.
5a, colpito.
6c, colpito e affondato.

Parlavano di linee, tutte incredibilmente eleganti, certo, ma alla fine vivevano in un mondo tristemente euclideo, in cui dovevano unire dei punti.
Nelle linee più dure si parlava inoltre di passaggi obbligati.
Obbligati?
Era salito in montagna per sfuggire ad una quotidianità intrisa di obblighi e doveva ritrovarseli pure lì?
No grazie, le sue montagne, il suo mondo, era permeato di poesia.
Dov’erano finiti il sudore, l’adrenalina, i cuori che battevano incontrollati?
Che fine avevano fatto le aurore, che tingevano il mondo d’incanto e scaldavano i cuori e le membra?
Che fine avevano fatto i tramonti, le notti passate ad osservare le stelle mentre, tremanti, ci si stringeva nel sacco da bivacco?
Chi li aveva rubati?
O erano fuggiti?
Si erano esiliati, in attesa di qualcuno che si dimostrasse degno di loro?
Dov’era la paura?
Dov’erano quelle emozioni che solo una vera avventura poteva regalare?

Riprese a leggere, riprese a salire.
Pagina dopo pagina, aumentava il dislivello.
C’era quasi, poteva vedere la cima nella sua mente.
Pochissime centinaia di metri.
Solo pochissime centinaia di metri, poi avrebbe coronato il suo sogno.
Il progetto sarebbe stato chiuso.
Chiuso.
Si fermò nuovamente.
Era quello che voleva?
Chiudere quel progetto, certo, ma l’avventura?
Voleva veramente che finisse?
Rimase immobile per qualche secondo.
Voleva veramente che l’avventura finisse?
Esitò ancora per qualche istante.
Infine, tolse il segnalibro e chiuse il libro.

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Paolo Colombo

Paolo Colombo

Sono Paolo Colombo, da Agrate Brianza. Bassa Brianza, l'ultima Brianza, quella un po' meno verde e un po' più piatta. Da lì in basso, tuttavia, le montagne si vedono bene, molto bene. Una corona che adorna l'orizzonte. Un simbolo che unisce, in un unico confine fra cielo e terra, comasco, lecchese e bergamasco.
Ed oltre. Ed è quell'oltre, quel desiderio di andare più in là, oltre il quotidiano, oltre l'orizzontale, oltre la gravità, oltre noi stessi (o forse verso noi stessi) che mi ha sempre spinto verso le terre alte. Sono un biotecnologo, ma il mio laboratorio preferito rimane sempre e comunque la natura.


Il mio blog | Dopo infiniti tentennamenti mi sono infine deciso ad aprire un blog che raccogliesse queste storie. Un piccolo rifugio, o meglio, una tana, che potesse offrire qualche momento di svago ai vagabondi del web che vi si fossero imbattuti. Il blog si chiama La Tana di Birillo, dal nome del protagonista di uno dei racconti, ed è un piccolo omaggio al Richiamo della foresta.
Link al blog

1 commenti:

  1. G ha detto:

    “e quelle parole erano diventate la corda che li univa”

    Grazie, a te Paolo e a tutti quelli che come te ci regalano storie

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