Che strana storia, ma perché è capitata proprio a me e per giunta dentro una chiesa?
Non trovo spiegazioni, non ci sono spiegazioni. Così rimane lì sospesa da qualche parte nella mente, ogni tanto riaffiora e poi ritorna subito al suo posto.
Avevo 35 anni e altri 35 sono passati. Sto attaccando sulla bacheca della parrocchia un manifesto della messa sul Monte Coppolo che, noi fedeli alla montagna, organizziamo ogni anno. Si avvicina suor Dionella, missionaria in Equador che ogni tre anni torna a Lamon per venti giorni. Dice che siamo tutti divini, ma lei per avere quel nome deve aver scomodato il Padreterno. Nonostante i suoi 75 anni insiste che vuole salire sul Coppolo e così il giorno della messa passo a prenderla. Ha lavorato una notte intera a disegnare cinquanta cuori su un cartoncino dove ha trascritto il testo che c’è in fondo al manifesto: “Insieme per rigenerare il cuore di Lamon”.
Si cammina per qualche ora sotto le nubi, al fresco. Più in alto, sotto la lunga parete che incombe sul sentiero, getto un fugace sguardo a quei quaranta metri di roccia verticale e liscia che un tempo attanagliava le menti e le mani di noi giovani alpinisti, padroni della vita a cercare il senso dell’esserci (eravamo oggetti di un mercato aggressivo con alle spalle le notti oscure e all’alba eravamo già lì. Ma Dio non è mai stato tra noi lassù!).
Sulla cresta sommitale compare il sole e piano piano le nubi si dissolvono lasciando spazio ai colori dell’autunno. La vista è splendida, soprattutto verso le Pale di San Martino con le sue vie di roccia e affiorano i ricordi di un tempo lontanissimo: la Franceschini, la Solleder, la Bull. Giallo, friabile e strapiombante, si diceva tra compagni duri, banditi, pronti a giocarsi tutto. E tutto era lì nell’azzardo, nei gradi, nei tempi, nella giovinezza.
“Come dunque ti invoco mentre sei in me, o da dove verrà in me il Dio che disse io che riempio il cielo e la terra”.
Per noi parole vuote, solo parole vuote.
Giunti sulla vetta del Coppolo, alla Croce sommitale, il prete non c’è. Un nostro accolito legge la liturgia della parola e poi mi chiede d’improvvisare una predica e così tutti predichiamo. Anche suor Dionella fa la sua predica, con poche parole, con la semplicità assoluta di chi si è lasciata inondare dall’amore. Alla fine rimaniamo in silenzio a guardare le pietre sotto i nostri piedi che ci parlano di Dio. Poi tutti, con un grande cuore rosso di carta appeso al collo, scendiamo verso la foresta di Gnei, con le sue storie di grandezze e di orrori umani. Camminiamo nella luce dorata che filtra tra i larici ingialliti, sempre attenti a non perderci suor Dionella.
Giornata di libertà, di luce e gioia come molte altre ho vissuto sui monti. Appagati da tanta bellezza ritorniamo felici alle nostre automobili e lì, improvvisamente, ho la certezza che questa suora ha qualcosa da dirmi su quella strana storia che in quel momento affiora con più forza del solito nella mia mente.
«Senti…» dico alla suora, «vicino alla stazione termini a Roma c’è una chiesa, la chiesa di Santa Maria Maggiore e…» e senza lasciarmi il tempo di concludere mi dice: «Ho un ricordo straordinario di quella chiesa. Stavo all’Antoniano per un corso e tutte le sere andavo lì in quella chiesa all’adorazione eucaristica. Fu proprio durante un’adorazione che sentii una voce dolcissima di donna che mi diceva: “Tu sei la mia figlia diletta”. Quella voce non l’ho più sentita ma risuona sempre dentro di me, con immutata gioia».
Sono sempre più convinto della mia intuizione e gli dico: «Ti sembrerà un po’ strano, ma io ho avuto un’esperienza di tutt’altro genere. Per me quella chiesa è un buco nero, una voragine senza senso, è il mio sentiero nero anche se solo di pochi passi: passi di repulsione e volgarità scioccante»
Suor Dionella mi interrompe nuovamente: «Ho capito. Quello che hai incontrato in chiesa ha voluto tenerti lontano dalla Madonna, loro fanno cosi!»
Silenzio totale, non c’è bisogno di altre parole, ora tutto è chiaro. E’ una illuminazione folgorante attesa da 35 anni e ormai senza speranza. Ora sono certo, era proprio Lui con quel senso di repulsione e volgarità oltre l’umano, venuto lì per tenermi rinserrato dentro il buio delle miserie umane, riuscendoci pienamente nel suo intento.
E che nella complessità dei nostri tentativi di sperimentare e accogliere la vita ed il mondo, spesso indecifrabili, siano per tutti le meraviglie dei deserti montani a riempire i nostri oceani interiori. Previa la totale libertà da se. Sicut tenebrae ejus, ita et lumen ejus (ps 138).
Ora so che a Roma mi attende una vetta di luce.
Ho avuto la fortuna di incontrare nel mio servizio militare il sig. Giacomin…e sono del parere che tutti i giovani di oggi dovrebbero avere la fortuna di incontrare un sig. Giacomin
Il capitano Giacomin grande uomo e grande cuore!
Mi reputo fortunato di averlo incontrato durante il servizio militare