Una macchia bruna, un fantasma, si avvicina
Detto il ritmo, il gruppo si allunga ma sono consapevole che il fronte è ormai sopra di noi, le nuvole gonfie e scure non mentono, quel muro grigio all’orizzonte nemmeno, lo sapevamo già da ieri che sarebbe stata una corsa contro il tempo.
Raggiungere Smiduvik prima della tempesta, piantare le tende, aspettare. L’avventura semplifica i pensieri, fa emergere la purezza dell’essenziale. Le prime gocce ci raggiungono quando siamo in vista dell’arrivo.
Mentre montiamo veloci il campo, mettiamo al riparo il materiale, ci prepariamo al bivacco, a poche decine di metri da noi, tra la vegetazione, compare.
Una macchia bruna, un fantasma, guardinga, curiosa, la prende larga ma si avvicina. E’ lei, è la volpe artica.
Nella tempesta che monta rapida sulle nostre spalle, mentre tutti frettolosi si mettono al riparo, mi volto un’ultima volta, incrocio il suo sguardo selvatico e fiero, la figura magra, il manto scuro coperto di gocce d’acqua, i muscoli delle zampe tesi pronti a fuggire, il muso proteso verso l’alto a percepire il mio odore.
Poi una raffica di vento più forte mi colpisce in pieno, il fantasma scompare, mi getto nella tenda e cala la sera.
Un fiordo una coppia
La volpe artica giunse in Islanda circa 10.000 anni fa sfruttando il ponte di ghiaccio che si formò con la Groenlandia. Prese possesso dell’isola e vi regnò indisturbata per migliaia di anni, specializzandosi a cacciare uccelli marini lungo le coste. Poi arrivò l’uomo e decise che la volpe era un competitore da eliminare. La odiò, la perseguitò, la portò sull’orlo dell’estinzione fin sulle penisole più remote come quella dell’Hornstrandir. La volpe però era più furba e, nonostante la caccia spietata, sopravvisse. Un giorno l’uomo si stancò, se ne andò e la volpe tornò ad essere la regina di queste terre remote.
Ora la volpe deve vedersela solo con la natura, non meno crudele nel decimare i cuccioli che ogni anno non riescono ad arrivare alla fine dell’estate. Uno su cinque supera il primo anno di vita. Poi i maschi tentano di conquistarsi il proprio spazio. Un fiordo una coppia, non c’è posto per altri. Un maschio vive cinque anni, poi viene sopraffatto da qualcuno più giovane e più forte. E così da migliaia di anni e così sarà ancora per molto tempo, perché la volpe è furba e non si fa catturare nemmeno dai ricercatori, perché non entra in uno spazio chiuso, in una gabbia, nemmeno in cambio di cibo.
Hornbjarg, le poderose scogliere dell’Islanda
Due volte ho provato, due volte sono stato respinto. L’Hornbjarg, il corno, l’affilata guglia settentrionale il cui profilo domina l’ampia baia di Hornvik, non mi ha regalato la soddisfazione di raggiungerlo.
La prima volta potenti scrosci di pioggia portati dal vento che rendevano difficile perfino stare in piedi, la seconda volta una fitta nebbia che nascondeva il bordo della scogliera profonda anche 400 metri. Entrambe le volte, per accentuare la beffa, il corno mi ha regalato la vista più bella il giorno dopo, quando è emerso dalle nuvole in tutta la sua eleganza.
Punto di riferimento per i pescatori che circumnavigavano la penisola, l’Hornbjarg ospita una delle più poderose scogliere dell’Islanda e su di essa alcune tra le più dense colonie di uccelli marini. Pulcinelle, urie, alche, fulmari si contendono chiassosi le strette cenge a picco sul mare, irraggiungibili per il loro predatore più accanito, la volpe artica.
Col sole in faccia saliamo verso l’ultimo passo del nostro trekking, quello che ci separa dal fiordo di Hesteyri, uno sparuto gruppo di case di legno da cui, 60 anni fa, i tenaci ed orgogliosi abitanti dell’Hornstrandir decisero che ne avevano avuto abbastanza, che era troppo anche per loro e che sarebbe stato meglio restituire lo spazio sottratto alla natura.