Reportage

KHACHAPURI

Il programma è semplice, dopo qualche giorno ad un festival di musica elettronica ad Anaklia, sulle coste del Mar Nero, risalire il fiume Enguri, che drena gli Alti Svaneti e camminare verso le vette più imponenti del Caucaso.

testo e foto di Jacob Balzani Lööv

02/02/2025
5 min
Nel Caucaso ci torno spesso. Sono i nomi ad incuriosirmi e a riportarmi ai viaggi immaginati dell’infanzia: Nagorno Karabakh, Cabardino Balcaria, Daghestan, Sakartvelo, nomi che al solo pronunciarli già odorano di avventura.

“È la parola a chiamare: l’astratta, colma parola, più forte di qualsiasi certezza.”, lo dice Cristina Campo, una poetessa fiorentina che amava scrivere di fiabe, perché alla fine le favole, come i miti, parlano a ognuno di noi. La geografia di queste terre fa il resto: un accidentato ponte che collega Islam e Cristianesimo, crocevia tra oriente e occidente, sorge dal Mar Caspio e si tuffa nel Mar Nero. Ancor prima che Giasone e gli Argonauti venissero in questi luoghi alla ricerca del vello d’oro si racconta che qui sia stato incatenato e punito Prometeo per averci regalato il fuoco.

Questa volta in compagnia di mio nipote Giorgio voglio attraversare gli Svaneti, terre impervie dalle alte torri, annerite dal fumo e dal tempo. C’è qualcosa che mi rallegra nell’andare con Giorgio in Georgia. Etimologia incerta per altro, di certo vi è un collegamento col santo patrono della nazione San Giorgio ma sembra che derivi più dal termine che i greci usavano per indicare l’agricoltura, lo stesso delle Georgiche di Virgilio. I georgiani però, in Kartuli la loro lingua specialissima e dall’alfabeto rotondeggiante, chiamano il loro stato Sakartvelo la terra di Kartlos loro padre mitologico. Giorgio è uno dei miei nipoti più piccoli di cui so meno. Ha 27 anni, circa venti meno di me. Quale modo migliore di conoscere meglio qualcuno che camminarci insieme? Il programma è semplice, dopo qualche giorno ad un festival di musica elettronica ad Anaklia, sulle coste del Mar Nero, risalire il fiume Enguri, che drena gli Alti Svaneti e camminare verso le vette più imponenti del Caucaso.

Quando ci addentriamo nelle valli, incontrando solamente pascoli abbandonati e boscaioli che ci raccontano dei loro incontri con gli orsi, arriviamo a sbattere contro le cime più alte.

Il cammino coincide con il provvisorio inizio del Trans Caucasian Trail o TCT, un ambizioso progetto nato nel 2015 dall’incontro di Paul Stephens, un volontario statunitense dei Peace Corps e dell’esploratore inglese Tom Allen. Il loro progetto, quando terminato, consisterà in due percorsi di più di 1500 km con lo scopo ambizioso di far dialogare le diverse comunità, preservare ecosistemi e permettere uno sviluppo turistico. Un percorso attraverserà il Caucaso Maggiore nel suo versante meridionale dal Mar Nero al Caspio mentre l’altro punterà a Sud verso gli altipiani armeni e il confine con l’Iran.

Quando ci addentriamo nelle valli, incontrando solamente pascoli abbandonati e boscaioli che ci raccontano dei loro incontri con gli orsi, arriviamo a sbattere contro le cime più alte. Il monte Ushba con i suoi 4710m e la sua doppia cima con le sembianze di un diavoletto ci accompagna per tutto il viaggio, non distante, in territorio Russo dovrebbe esserci la cima più alta d’Europa l’Elbrus. Giorgio che la notte in tenda legge un libro di Carrère, è affascinato da questa vicinanza e vorrebbe quasi legarsi in cordata per esplorare cosa c’è oltre: cosa è rimasto dell’Unione Sovietica ma soprattutto cosa è successo dopo?

Non è assolutamente una curiosità banale e basta guardare la mappa dei sentieri per capire che c’è un problema di fondo: invece di seguire la geografia questi devono adattarsi alla difficile geopolitica del Caucaso.

Avrebbe senso che il TCT seguisse tutto il Caucaso, iniziando magari nello stadio olimpico di Sochi, in Russia per proseguire attraverso le lussureggianti valli dell’Abcasia ma i rapporti tra Georgia e Russia sono tesi e ambigui. Dopo il crollo dell’Unione Sovietica, quando i singoli stati hanno dichiarato la propria indipendenza all’inizio degli anni ’90, molte regioni autonome hanno pensato di fare lo stesso e questo ha portato a sanguinose guerre etniche.

Questi conflitti, mai risolti definitivamente, hanno portato alla nascita di piccoli stati non riconosciuti dalla comunità internazionale ma supportati militarmente ed economicamente dalla Russia. In Georgia è successo sia con il territorio dell’Abcasia che con quello dell’Ossezia del Sud, circumnavigato a sua volta dal TCT, provocando quasi trecentomila di rifugiati. Inoltre, la Russia sembra non aver gradito l’avvicinamento a Occidente quando nel 2003, con la Rivoluzione delle Rose, Saak’ashvili è diventato presidente. Con la scusa di proteggere la popolazione dell’Ossezia del Sud, la Russia ha invaso per pochi giorni la Georgia fermandosi poco distante dalla capitale a Gori, luogo famoso per aver dato il Natale a Stalin. Si dice che in piazza l’armata russa schierata abbia fatto il saluto al vecchio presidente. Se vi ricorda qualcosa è perché ci sono molti parallelismi tra Ucraina e Georgia. Nonostante le proteste e le accuse di brogli I successivi governi legati all’oligarca filorusso Ivanishvili hanno cercato di riaggiustare i ponti con la Russia. Molti georgiani lavorano stagionalmente in Russia e moltissimi giovani russi contrari alla guerra in Ucraina sono venuti a vivere nella capitale Tbilisi da dove fanno smart-working.

… lo avevo già percorso più di dieci anni fa e nel vedere i cambiamenti mi viene da pensare alle nostre montagne prima e dopo il boom economico.

Mi sono dimenticato di parlare dell’altro motivo per cui torno in Georgia, il cibo e quando dopo giorni di cammino arriviamo a Mestia, il capoluogo degli Alti Svaneti, siamo felici di infilarci in un ristorante. Tra i vini e le mille portate facciamo indigestione di Khachapuri, l’onnipresente focaccia sottile ripiena di formaggio primo sale. Vengo tormentato da un dubbio a cui non ho ancora dato risposta: non è che esista un collegamento tra le colonie commerciali genovesi sul Mar Nero del 1300 e la focaccia di Recco?

Nel museo di Mestia si possono vedere le foto panoramiche dell’esplorazione del Caucaso di Vittorio Sella nell’ultimo decennio dell’Ottocento ed è triste paragonare quei ghiacciai a quelli di oggi. Nei tre giorni che seguono, da Mestia a Ushguli, il cammino è molto frequentato ma comunque splendido, lo avevo già percorso più di dieci anni fa e nel vedere i cambiamenti mi viene da pensare alle nostre montagne prima e dopo il boom economico.

A Ushguli ci arriviamo totalmente fradici, complici l’erba e i fiori bagnati che qua sono sempre altissimi e non lasciano tregua. Lasciamo gli zaini in una guesthouse e visitiamo il paese che è patrimonio Unesco per le sue numerose torri difensive medievali. Siamo fortunati perché ha appena inaugurato il cinema e tutti i bambini del villaggio sono venuti a vedere Dede, film girato qua e che parla dell’essere donna in questi villaggi dopo il crollo dell’unione sovietica tra onore e vendette. La regista ha usato attori del posto e alla sera, io e Giorgio, ci ritroviamo a fissare la padrona della guesthouse che ci conferma di essere la dottoressa del film.

Dopo questo intreccio di realtà e finzione, valicando l’ultimo passo, salutiamo la montagna più alta della Georgia, lo Shkhara coi suoi 5201 m e scendiamo verso i Bassi Svaneti dove il nostro cammino si interrompe e possiamo tornare a Cristina Campo: “Nelle fiabe, come si sa, non ci sono strade. Si cammina davanti a sé, la linea è retta all’apparenza. Alla fine, quella linea si svelerà un labirinto, un cerchio perfetto, una spirale, una stella – o addirittura un punto immobile dal quale l’anima non partì mai, mentre il corpo e la mente faticavano nel loro viaggio apparente.”
_____
Itinerario:
Da Chuberi (Kvemo Margli) a Ushguli descritto qua https://transcaucasiantrail.org più il collegamento tra Ushguli e Chvelpi (Bassi Svaneti) attraverso il passo di Latpari. Sul percorso si può contare su quotidiani punti di approvvigionamento e guesthouses ad eccezione della prima tappa molto lunga e impegnativa senza una tenda. Periodo consigliato: estate/inizio autunno.

info Jacob Balzani Lööv:
https://jacobbalzaniloov.com
www.instagram.com/jacob.balzani.loov/?igsh=OGE0NW51dG16aGR1&utm_source=qr

Jacob Balzani Lööv

Jacob Balzani Lööv

Jacob Balzani Lööv (Milano, Italia, 1977) è un fotografo italo-svedese. Ama le storie di persone fortemente legate a un luogo, sia questo un territorio conteso o una giungla tropicale. Il suo metodo è camminare: crede che per connettersi con un luogo bisogna misurarlo coi propri passi. Jacob vive tra Milano e il Monte Rosa.


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2 commenti:

  1. Luca Luca ha detto:

    Grazie per averci fatto viaggiare in territori poco popolari

  2. Laura Laura ha detto:

    Che fascinazione! Grazie!

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