Saggio

SILENTI IN(RI)VOLUZIONI

"Ci siamo chiesti, quale sia oggi il nostro modo di vivere la Natura, stretta tra lo sfruttamento economico di un modello turistico insostenibile e la sempre maggiore invadenza di norme, regole e raccomandazioni"

testo di Saverio D’Eredità e Carlo Piovan

Canalone tra Cima Grande e Cima Ovest di Lavaredo (ph Marco Battistutta)
15/01/2021
5 min
Il primo errore l’abbiamo fatto noi. Annebbiati dal nostro ego ci siamo esaltati nel vedere le prime gare di arrampicata che decretavano in modo “oggettivo” chi fosse il più forte arrampicatore del mondo.

Il peccato originale
Non ci è parso vero di dotarci di strumenti in grado di documentare in modo certo il punto di arrivo su una montagna di 8000 metri facendo la guerra a chi avesse guadagnato un centimetro più dell’altro. Ci siamo inventati premi, titoli, curriculum, gruppi elitari auto costituiti. Abbiamo ceduto al voler porre delle regole, noi che da quelle regole scappavamo cercando nella metafora dell’alto, del verticale, della quota, un luogo dove non ci fosse sovrastruttura, ma solamente quella natura quasi primordiale, con cui sapevamo non avesse nessun senso porsi in competizione. Pian piano abbiamo voluto portare lassù pezzi di “urbanità” per ridurre, forse, quel senso di impotenza che ogni tanto ci prende di fronte alla selvatichezza della montagna o per affermare la nostra futile capacità di trasformare qualsiasi luogo del pianeta a nostro servizio. Salvo veder poi sparire il frutto di tanto lavoro sotto eventi naturali che si ripetono da milioni di anni ma che noi chiamiamo emergenza.

Ci siamo illusi di poter creare delle economie sulla nostra pratica, distinte da quella globale, per poi ritrovarci a passare più tempo nei negozi di Arco o Chamonix piuttosto che in parete. Abbiamo stemperato il confine tra l’urbe e la selva fino a diventare una città globale il pianeta, con le montagne a fare da parco pubblico.

La città per sua natura è generatrice di regole, è civitas oltre che urbe, ed è giusto che sia così; altrimenti l’uomo non sarebbe stato in grado di evolversi dallo stato di “pura natura” a società civile. Ma come le antiche mura segnavano il confine tra uno stato di diritto ed un altro (legge della natura), oggi è quanto mai fondamentale contestualizzare le norme che regolano la società in funzione dei contesti fisici e geografici in cui si esprimono. Esportare in modo indiscriminato atteggiamenti securitari ed iper-regolamentari in ogni luogo è un modo per far regredire il senso di responsabilità e libertà di scelta di ognuno di noi delegandolo (volontariamente o involontariamente) a governanti più o meno capaci.

Parco giochi o Natura? (Ph. by Simon Fitall on Unsplash)
Un tempo quando eravamo lontani da atteggiamenti securitari e iper-regolamentari (Ph. by Austrian National Library on Unsplash)

Nasci da incendiario, muori da pompiere
Il nostro blog Rampegoni⁽¹⁾ è nato anni fa dalla volontà di andare oltre la semplice redazione di relazioni. Abbiamo creduto di poter essere in grado di raccontare e trasmettere un messaggio che andasse oltre la descrizione tecnica dell’itinerario, la quale iniziava a prendere una piega un po’ troppo consumistica. Cerco, stampo, scalo, cestino. Ma sempre rimanendo a parlare di alpinismo, inteso nel suo senso più ampio.

Se guardiamo alle statistiche recenti, la cosa curiosa è che due degli articoli più letti sono articoli che – apparentemente – non parlano strettamente di alpinismo o di montagna. Entrambi gli articoli, scritti a quatto mani, hanno affrontato da prospettive che possono sembrare distanti, uno dei temi (anzi, secondo noi, “il” tema) di maggiore importanza per chiunque non solo ami la montagna, ma più in generale abbia a cuore da un lato l’ecosistema naturale e dall’altro il diritto ad esercitare quella libertà individuale – di pensiero e di azione – che è elemento fondativo delle società democratiche che si basano sul riconoscimento e la tutela di diritti inalienabili di ogni donna e uomo.

Ci siamo chiesti, quindi, quale sia oggi il nostro modo di intendere e vivere la Natura, stretta tra lo sfruttamento economico di un modello turistico insostenibile e la sempre maggiore invadenza di norme, regole, raccomandazioni. Figlie, queste ultime, di un concetto di società “securitaria” che deresponsabilizza l’individuo in nome di una non ben precisata richiesta di azzerare i rischi.

Entrambi gli articoli, scritti nel periodo di quarantena della prima parte del 2020, hanno rappresentato un tentativo del tutto spontaneo e non polemico, di riportare in primo piano questi temi. Frastornati ed allarmanti dall’emergenza sanitaria, abbiamo provato tuttavia a rimanere ben centrati sui fatti reali, attenti ad intravedere i segnali di cambiamento che accompagnano le grandi crisi. Impossibilitati all’azione abbiamo tenuto viva la nostra passione cercando di non dimenticare che là fuori erano rimasti i nostri sogni, la nostra voglia di vivere, il nostro desiderio di scoperta. E con preoccupazione abbiamo assistito ad un pericoloso smottamento che, allontanandosi da una reale misura di contrasto all’epidemia, andava ad intaccare libertà fondamentali, presupposto non solo dell’attività “sportiva”, ma in generale della nostra società.

Ph. Sylvain Mauroux on Unsplash
Ph. by Toomas Tartes on Unsplash

Profeti in patria?
Siamo stati cattivi profeti? Può darsi. Oggi a distanza di mesi, rivendichiamo – senza orgoglio, semmai con amarezza – di aver suonato un campanello d’allarme. Dietro un delirio normativo e regolamentare, figlio di un’isteria collettiva e a nostro giudizio di una sconcertante mediocrità, si celava il tentativo di erodere ogni residuo spazio di libertà, responsabilità e pensiero critico. Non vogliamo farne un discorso ideologico. Qui si parla delle nostre vite. E mai come quest’anno, in cui l’idea della fragilità e precarietà delle nostre esistenza è riapparsa così violentemente, sappiamo quanto preziosa sia. Ma stiamo ben attenti. Rimaniamo vigili.

L’ordinanza della Regione VdA che limita la pratica dello scialpinismo solo a clienti accompagnati da guide, non è solo un tristissimo esempio di strumentalizzazione di un’emergenza reale a puri fini commerciali e/o di bieco controllo sociale (ce ne sono molti altri sparsi per il territorio). E’ il sintomo di un cedimento complessivo dell’idea stessa di società. Siamo certi che la maggioranza delle guide alpine non solo disapprova, ma contesta fortemente non sentendosi né depositari di una mai totale di sicurezza, né dei privilegiati. E siamo altrettanto certi che, come è arrivata, una tale norma è destinata a sparire (siamo in Italia, dove tutto ed il suo contrario possono coesistere). Ma il segnale è forte ed è arrivato. Non si tratta, qui, di urlare vuoti slogan di “libertà” che spesso viene fraintesa con irresponsabile anarchia. Semmai è il contrario. Vogliamo, anzi pretendiamo la nostra responsabilità. Soprattutto esigiamo di essere trattati come cittadini consapevoli ed autonomi, cui nessuna ottusa ordinanza priva di fondamenti costituzionali potrà mai negare la libertà di espressione.

Non vogliamo cadere in un mondo distopico di stampo orwelliano. Soprattutto, conosciamo l’antidoto e si chiama cultura. Lo è da sempre. Leggiamo. Impariamo. Informiamoci. Critichiamo e discutiamo, ma sempre vigili e rispettosi. Riappropriamoci degli spazi in cui il pensiero matura e non ha paura. Così si costruisce il cittadino. E così si forma l’alpinista, scialpinista, escursionista o semplice turista. La montagna è conoscenza e responsabilità nelle scelte allo stesso tempo. Chi non conosce difficilmente scende con le proprie gambe, chi non si prende le proprie responsabilità, difficilmente si fa anziano.

No, non si tratta di urlare “libertà” senza sapere come di questa disporre. Si tratta dell’idea che abbiamo di società. E’ questa la vostra idea? Davvero vorrete vivere in un mondo del genere, delegando ad altri la vostra capacità di pensare? Deresponsabilizzandovi dalle vostre azioni, nell’illusione di salire più leggeri?

E’ davvero questo il mondo in cui vogliamo vivere?

“Erano arrivati al punto. Quello che diceva Bernie era sicuramente vero. Perché è così che avvengono le rivoluzioni, quelle vere, quelle che ci trasformano, ci plasmano. In silenzio, fatte passare per una pura formalità. Un comma aggiunto in un decreto. Un atto dovuto.”
(da Fuori Traccia, AA Arcipelago Altitudini, 2020)

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(¹) Questo articolo è pubblicato sul sito Rampegoni di Saverio D’Eredità e Carlo Piovan  (rampegoni.wordpress.com).

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