Racconto

LA DANZA DELLA CATIVÒRA

Una vecchia donna, una vecchia scopa, un vecchio maggengo in rovina e le metamorfosi delle parole e dei tempi: Epiphânia, Pifania, Bifania, Befania, Befana.

testo e foto di Sara Invernizzi

06/01/2023
3 min
«La Befana vien di notte / con le scarpe tutte rotte / il vestito tutto blu / la Befana viene giù»

Una vecchia donna, una vecchia scopa, un vecchio maggengo in rovina e le metamorfosi delle parole e dei tempi: Epiphânia, Pifania, Bifania, Befania, Befana.

Abbiamo raggiunto il maggengo abbandonato a mezzogiorno. Il gruppo di carden è situato su un dosso eroso ai lati da due impetuosi torrenti; è un promontorio che fa da spartiacque nel punto in cui la grande valle innevata si restringe verso il poderoso salto della forra scavata dall’azione glaciale. Qui la neve si è depositata nei giorni scorsi, ma è stanca del calore ed è flaccida e pesante, impregna la terra e sgocciola dai tetti in lastre di pietra dei fienili in legno, costruiti a blockbau più di duecento anni fa – come si nota da un’incisione di fine Settecento scolpita su un architrave.

Dopo notti di sogni inquietanti e il calore ancora più preoccupante di questi inizi di gennaio, io e Marco abbiamo pensato di recarci nuovamente in questo luogo per provare a rendere manifesto lo spirito effimero dell’aria di questo strano inverno e celebrare un momento dell’anno particolare: l’Epifania, l’ultima delle dodici notti.

In questa valle il vento freddo della sera ha un nome: è la Cativòra, l’ombra che dilaga tra i vecchi carden in abbandono e si insinua tra i grandi massi granitici delle frane antiche e possenti, che lambiscono come onde i nuclei raggruppati nel fondovalle. La Cativòra arriva terribile quando cala l’ombra della sera e per i bambini essa era una strega che li rapiva o, come faceva anche la Malora, li spingeva a perdersi su sentieri spazzati dalla sua scopa nella neve, itinerari immaginari che conducevano improvvisi ai precipizi.

Sono salita al vecchio maggengo corroso dai muschi e dai licheni per provare a costruire una scopa che potesse far volare più leggera la Cativòra e così aiutarla a portare in questo inverno caldo un po’ del suo gelo. Dei rami di giovani betulle cresciute tra i legni marci di un carden crollato e un bastone di larice sono le componenti di una rudimentale scopa che assemblo seduta sul fieno vecchio dimenticato in un fienile.

Esco e mi immergo nella terra profonda che congiunge la veglia con il sogno, in questo momento di passaggio tra luce e ombra, nel contrasto tra la molle neve e le fronde cupe delle abetine umide. Volo a cavallo della mia scopa di larice e betulla. Volo tra i larici sottili sull’orlo del precipizio, lasciando che il vento scompigli i miei capelli e le barbe di licheni che pendono dalle conifere, mentre in lontananza delle capre forse ci osservano dalle crode dove si sono arrampicate.

Lasciamo il maggengo in balia del tempo e la scopa sulla porta di un fienile per la Cativòra e il suo volo notturno tra le rupi, radunando le capre disperse e parlando con loro nell’ora di mezzanotte. Fatti questi, che possiamo solo immaginare, perché nessun essere umano vi potrà assistere. È infatti un sacrilegio spiare i discorsi degli spiriti e degli animali. Per questo motivo alla vigilia dell’Epifania bisogna coricarsi presto perché chi veglia ammuffisce e viene colpito dalla sventura.

Sara Invernizzi

Tra anfratti rocciosi, borghi di crinale e nuove conurbazioni dell’arco orobico, cerco di “leggere” il territorio come se fosse un palinsesto, ricco di stratificazioni di narrazioni. Dai sentieri che percorro e dalle storie antiche, traggo ispirazione per nuove riscritture.


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4 commenti:

  1. Cipriano Diem ha detto:

    Affascinante e ben scritto, ci riporta in un mondo di sogni e di miti. Grazie

    1. Sara Invernizzi ha detto:

      Grazie Cipriano per questo commento. Nell’inverno trovo sia molto bello ritrovare la dimensione dei racconti, dei miti, del tempo e mi fa piacere aver condiviso queste sensazioni.

  2. Marco ha detto:

    Sei parte della natura.
    La natura é parte di te.
    L’anima che ti anima é amore puro e poesia……..racconto e armonia….libertá e felicitâ……..vita….
    Vita!!!!

    1. Sara Invernizzi ha detto:

      Grazie Marco! Vita anche in inverno, vita anche di fronte alle cose che scompaiono, vita nel tempo che passa, nelle stagioni e nelle storie!

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