Nel libro l’autore inizia la sua riflessione con un ossimoro: la “felice nostalgia” (1). È da qui che conviene partire.
La nostalgia è un sentimento dolente, misura la mancanza o la perdita di una condizione sperimentata o appresa, giudicata a posteriori desiderabile. Questo stato d’animo è legato al ricordo, non necessariamente personale, poiché scatena la nostalgia anche il racconto, purché esso sia praticato da persone con le quali abbiamo una relazione emotiva rilevante. L’etimologia della parola “nostalgia” deriva dal greco antico, unendo le parole “nostos” (νόστος) che significava ritorno a casa, rientro o viaggio di ritorno e “algos” (ἄλγος) che significava dolore, sofferenza, afflizione, quindi letteralmente “dolore del ritorno”.
Che cos’è la nostalgia? È uno stato d’animo malinconico, causato dal desiderio di qualcosa che non è presente e si percepisce come lontano o perduto. Entriamo in un mondo in cui sensazioni agli antipodi si mescolano, tristezza e felicità s’incontrano: la speranza insieme al dolore, la piacevolezza con il rimpianto e il senso di una bellezza che opprime. La nostalgia è un’entità di difficile collocazione: sfugge a definizioni precise perché è approssimativa, così come l’oggetto del sentimento nostalgico è soggettivo. La nostalgia, ben frequentata in letteratura è poco studiata dal punto di vista scientifico; eppure, la sua origine avvenne in ambito medico. Nel 1688, a diciannove anni, Johannes Hofer studiò un male endemico, noto come Schweizerkrankheit o “male svizzero” che colpiva i mercenari elvetici.
La parola indicava uno stato patologico ma, nel tempo, ha cambiato significato estendendolo in altri ambiti. Oggi nostalgia ha un significato più vasto che si estende ad una rivalutazione della propria esperienza passata rileggendola, suscitando una tenerezza verso ciò che siamo stati o, quantomeno, ciò che ricordiamo d’essere stati. Il passare del tempo fa dimenticare e questo lascia spazio per costruire un racconto di noi, basato sui ricordi rimasti. Ogni situazione nuova, indecifrabile e inquietante produce nostalgia, perché il desiderio malinconico del passato è nostalgia di sé, del mistero degli anni trascorsi che non possiamo rivivere. Per estensione, è lo stato d’animo causato dal desiderio di persona lontana (o non più in vita) o di cosa non più posseduta, dal rimpianto di condizioni ormai passate, dall’aspirazione a uno stato diverso dall’attuale che si configura comunque irripetibile. Antonio Tabucchi a proposito della “saudade” lusitana affermò che riguarda un desiderio che si vorrebbe vedere realizzato ma non è una nostalgia della felicità avuta e perduta, ma una nostalgia di essere felici ancora, anzi, una speranza di esserlo (2).
La possibilità di percepire la propria esistenza come significativa proviene dalla capacità umana di pensare in termini temporali e, quindi, di impegnarsi in una riflessione nostalgica sul proprio passato. La nostalgia è una risorsa che permette di percepire la nostra vita come dotata di senso e scopo. Serena dice:
…sono convinta di una cosa: sono quello che loro hanno tracciato. Il loro passato è il nostro punto di partenza e pensare a loro mi scalda il cuore.
Ero presente a Cansech e avevo seguito con molto interesse il discorso di Cason. Sono molto contenta di aver potuto rileggere il suo testo, veramente bello e profondo.
Parlo indirettamente di un testo che non ho letto, ma conoscendo l’autore, non ho dubbi a ritenere questo lavoro un prezioso contributo alla conoscenza, un ulteriore tassello di ricostruzione della memoria che Teddy Soppelsa sta portando avanti da tempo.
Ebbi a dire su questo blog che Teddy è un rabdomante della memoria e le precise e ampie parole del dott. Cason confermano la bontà della ricerca di Teddy.
Non ho nulla da aggiungere all’interessante e ampia analisi sviluppata nella prolusione, se non complimentarmi, e il sentirmi anch’io nomade, forse spaesato, allorquando si affronta il tema della modernità, o per meglio dire del contemporaneo; questo tempo che distrae e separa, che rende omogenee le situazioni, che divora le sensibilità e le diversità, che crea nuove povertà e forti disuguaglianze, che distrugge il senso di comunità – perché la comunità ricerca la felicità e non il divertimento, e la felicità, come insegnava Seneca, si raggiunge attraverso la virtù e la ragione -.
L’alienazione poi, è il frutto di molte situazioni che sradicano l’uomo dalla propria natura facendolo diventare, per usare le parole di Bonhoeffer, uno stupido.
Mi pare però che su questo testo, che ripeto, non ho letto, si possa fare un’ulteriore riflessione più generale, che è la seguente: “l’uomo qualunque”, colui che non passerà mai alla storia, eppur, nella sua singolarità, è capace di grandi cose, specie se integrato in una comunità, come ad esempio la cura nel rimboccare una coperta ad uomo che ha bisogno.
E’ un tema interessante questo perché la storia è fatta di uomini che sono stati ricordati solo perché, generalmente, hanno fatto del male a qualcuno.
La nostra vita è principalmente circondata, a nostra insaputa, di incontri con persone che nella loro semplicità ci insegnano a vivere e offrono sollievo al prossimo.
Siamo noi che non vediamo.
Nell’enormità di uomini e donne che vivono da millenni la propria vita con virtù e rettitudine, non ricorderemo una carezza, un sorriso, un gesto gentile, una fatica, perché la storia parlerà di guerre, morte e distruzioni, e solo gli uomini senza virtù saranno ricordati.
Mi pare quindi che questo testo possa offrire anche questo contributo prezioso ad una riflessione più ampia; come una “seconda vista”, ci permette di apprezzare e valorizzare “l’uomo qualunque”.
Abbiamo imparato che “l’uomo qualunque”, unico esempio al quale tendere, vive una propria vita nella letteratura, ed è bello e giusto che sia così perché la letteratura unisce la fantasia alla vita vera, mentre la storia si occupa di parti di mondo in gran parte violento.
Ringrazio quindi l’autore per averci permesso di ragionare anche su questo focus, e di essersi occupato di uno di noi, di qualcuno che da un senso e una prospettiva ad un sorriso, ad una carezza, ad un gesto gentile, e che presto sarà dimenticato.
Vittorio Giacomin
leggere queste parole è emozionante!! La nostalgia è un’emozione che ti cattura e ti porta lontano nei tempi che vorresti rivivere, ti ricorda persone care e luoghi che ormai non ci sono più perchè il tempo gli ha traformati. Posso dire che nel leggere queste righe ho pianto. Grazie
A Cansech ho avvertito, come mi capita sempre più spesso, che i vincoli che consolidano le comunità sono essenzialmente affettivi. E sono robusti, resistenti e tenaci. Sono sempre molto contento quando entro, accolto come un ospite, in questa rete di relazioni che danno senso alla vita di ognuno di noi.
Un tuffo tra persone e luoghi lontani che forse non ci sono più.
Un testo che sembra la carezza di cui hai bisogno e che non ti aspettavi