Narrazioni che in un attimo ti trasportano in un mondo parallelo, abitato da quei pochi che osano sfidare le vette più estreme.
L’appuntamento è a casa sua, a Nembro, piccolo comune bergamasco da cui partono sentieri verso pareti che sono state la palestra di leggende dell’alpinismo: Walter Bonatti, Carlo Nembrini, Mario Curnis, solo per citarne alcuni. Un luogo che Denis chiama casa.
Mi offre una tazza di caffè solubile, mele, formaggio, dolci. Un’ospitalità semplice che apprezzo. Ho una lista infinita di domande: non sono un’alpinista anche se amo la montagna, ma mi affascina il modo in cui guarda la vita chi è salito così in alto. E lui, in cima agli ottomila c’è arrivato ventisette volte, senza portatori, spesso solo e senza ossigeno, che Denis considera ‘il doping dell’alpinismo’.
Figlio di un’insegnante della scuola d’infanzia con la passione per il pianoforte e di un padre ingegnere topografo che lo portava alle battute di pesca e di caccia, Denis mi racconta di aver frequentato una scuola di recitazione prima di incontrare la montagna. La folgorazione avviene sfogliando una rivista, dove lo colpiscono due articoli: il primo, l’ascesa in solitaria di Reinhold Messner sul Nanga Parbat; l’altro, l’apertura di vie nuove sul Dhaulagiri da parte di due alpinisti kazaki. «Nella scuola di recitazione ci sono stato tre anni, poi quando ho cominciato a praticare l’alpinismo ho dovuto fare una scelta e mi sono iscritto al club alpino di Vladivostok. Però poi ho capito che sulle pareti potevo recitare me stesso, senza maschere. Non ero più un personaggio».
Denis Urubko, classe 1973, è nato a Nevinnomyssk (in Russia, nel nord del Caucaso). Nel 1987 si trasferisce con la famiglia sull’isola di Sakhalin e quindi, nel 1990, a Vladivostok.
Nel Caucaso settentrionale dove vive le montagne sono però troppo basse per un ragazzo che sogna già in grande. Il Monte Elbrus, con i suoi cinquemilaeseicento e rotti metri non è un obiettivo che stimola la sua ambizione. «Prima di aver letto quegli articoli non avevo ben compreso la filosofia dell’alpinismo sportivo», mi confida. Così, nel 1993, a vent’anni compiuti, lascia quella che è già l’ex-Unione Sovietica e si trasferisce in Kazakistan, acquisendone la cittadinanza.
Con non poche difficoltà si arruola quindi nel gruppo sportivo militare alpino, dove rimarrà diciotto anni prima come allievo e poi come istruttore. «La scuola per alpinisti di alta quota kazaka mi ha insegnato a vivere e a sopravvivere in montagna. È costruita su un sistema che ti fa realizzare il processo in modo positivo. Nella mia carriera di alpinista i pensieri di morte sono stati forse solo un paio. Se mi trovo in una situazione di pericolo, e nella mia carriera ce ne sono stati molti, cerco solo il modo per venirne fuori».
A vent’anni Denis Urubko incontra Ervand Ilyinsky, leader del corpo sportivo militare kazako. Si trasferisce quindi a Almaty, in Kazakistan, e si arruola nell’esercito.
«Il sistema di allenamento appreso con la scuola kazaka mi ha permesso di diventare un atleta d’alta quota e di scalare sempre in stile alpino. Aprire nuove vie è l’ambizione più grande per un alpinista. I primi scalatori che salirono sul Monte Bianco cercavano le vie più semplici, ma noi non ci accontentiamo della cima, vogliamo arrivarci lungo vie sempre più difficili e nel minor tempo possibile».