Racconto

Perdersi, senza perdersi

testo e foto di Silvia Benetollo

Albero solitario sull’Appennino marchigiano
22/04/2020
3 min
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Un camoscio metà bianco, sbucato dalle nuvole, mi guardava altero e irritato.
“Cosa ci fai tu qui? Cosa cerchi?”

Dopo cena la stanchezza comincia a farsi sentire. Fuori il silenzio è incrinato solo da un vento leggero che fa fare “tin tin” al gancio della bandiera del Parco.

Ci sono poche cose rilassanti come passare la sera in un rifugio semideserto, circondato da uno splendido nulla immerso nella nebbia.

Questa mattina siamo partiti presto senza una meta precisa; volevo solo fotografare orchidee spontanee. La goodyera repens, per l’esattezza. Ma poi a un certo punto i boschi sono terminati, ci siamo trovati nel Van de Zità mentre lentamente calava la sera – il momento della giornata a noi più congeniale – e con lei le nuvole, che in breve ci hanno privati di qualsiasi visuale. La goodyera non si era fatta trovare, ma non avevo rinunciato alle nigritelle: così ho continuato a vagare per i pascoli magri, distratta.

Poi all’improvviso, uno sbuffo infastidito mi ha spaventata. Un camoscio metà bianco, sbucato dalle nuvole, mi guardava altero e irritato. “Cosa ci fai tu qui? Cosa cerchi?”. Sono rimasta imbambolata per un tempo indefinito, un’eternità di pochi secondi. Cosa cerco, nel tardo pomeriggio tra le nebbie del Van de Zità?

Qualcosa che non trovo, che a volte non riesco nemmeno a mettere a fuoco, e nel frattempo mi impegno per godermi appieno quello che ho. In apparenza soddisfatto dalla risposta, così come era arrivato il camoscio è sparito. Me lo sono sognato? No, mi dicono che il mezzo albino è già conosciuto e stanno anzi pensando di abbatterlo, per via di quel suo meraviglioso difetto genetico.

Non voglio avere niente a che fare con queste logiche, che a una profana come me sembrano assurde. Preferirei, piuttosto, ripartire alla ricerca dell’orchidea che non si trova, godendomi nel frattempo tutto ciò che la montagna vorrà offrirmi: scenderei per la selvaggia Val dei Erbàndoi (già il nome promette bene) e, percorrendo tutta l’oscura Val Clusa, attraverserei il Cordevole e risalirei verso i Ferùch, che mi ricordano il nonno. Ai Piani Eterni bivaccherei fino a ottobre, per ascoltare il bramito dei cervi, e poi via verso ovest, fino a raggiungere la Piazza del Diavolo, dove Buzzati amava perdersi immaginando spiriti che si rincorrono davanti alle pareti.

Solo alla Busa delle Vette, sotto al cielo ormai carico di neve, potrei abbandonare la ricerca della mia orchidea e scendere dalle montagne, seguendo il Brenta verde e allegro fino al mare, per mettere finalmente i piedi a bagnomaria.

Un rumore alle mie spalle mi distoglie da questi pensieri, vedo Saverio sbucare dalla macchia di mughi e mi alzo per riprendere il cammino. Illuminato dalla fredda luce dell’ultimo sole torno ad abbassare lo sguardo, la mente già rivolta alla nuova partenza ma negli occhi ancora l’immagine di un momento di eternità.

Silvia Benetollo

Sono una traduttrice con la passione per il disegno, per le Dolomiti Bellunesi e per la toponomastica alpina, perché penso che risalire all’origine del un nome di luogo caro sia un buon modo per farne parte.


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