Racconto

Come la palla nera

testo e foto di Husein Salic

11/01/2019
4 min

Il suono familiare di due moschettoni che si scontrano attaccati all’imbrago mi dicono che tutto è pronto per il divertimento.
Cammino con passo svelto perché è cosi che faccio sempre. Dal petto mi esce una gioia che poco riesco a domare; so che è la forza che mi servirà per dopo.
È autunno, le foglie cadute dai faggi hanno completamente coperto il sentiero, trascino apposta i passi come se raccogliessi il fogliame. Il piacevole fruscio delle foglie mi riporta ai ricordi d’infanzia: giornate intere passate nel bosco, tra grossi e lisci alberi di faggio e grandi mucchi di fogliame secco dove noi bambini ci si nascondeva all’interno, celandosi uno dall’altro. Mi scappa un mezzo sorriso e una piacevole sensazione riempie l’istante, tra un passo e l’altro.

Questo è il posto per me
Cammino da solo e ciò non è un problema. Come ogni volta, prima di partire, la mia compagna mi chiede dove e con chi vado: oggi le ho risposto che sarò con la migliore compagnia possibile; infatti nessuno dei soliti amici ha potuto venire.
Di nuovo il paesaggio si è vestito dei suoi abiti più sontuosi e camminando mi pare di trovarmi dentro un dipinto. Il giro odierno è sconsigliato, così è scritto sui più conosciuti portali web, sia ai principianti che agli alpinisti solitari. Io sono qui comunque, perché questo è il posto per me. All’inizio della via manca ancora mezz’ora e quando sono fuori dal bosco vedo la parete di roccia che mi aspetta.

Sono solo e nessuno mi può aiutare
La concentrazione che mi guida fa si che non sbagli la traccia; lo sforzo che i muscoli sopportano volentieri, il sentimento di legame e appartenenza con l’ambiente (con ciò che mi circonda), tutto insieme mi fa avanzare senza alcun disagio.
Ho letto che questa via è considerata tra le più difficili e non è, come spesso accade, difficile solo all’inizio, ma diventa sempre più complessa mano a mano che si avanza. Non esiste una via d’uscita se non quella che porta alla cima. Ho letto tra l’altro anche dell’incidente accaduto un paio d’anni fa a due istruttori del CAI.
I pensieri, come se mi sfiorassero con una mano invisibile sulla spalla, mi avvertono di stare attento perché sono solo e nessuno mi può aiutare.
Sono già in parete, risolvo i problemi uno alla volta, le mani trovano la strada, con le dita assaggio la roccia e cerco l’appiglio. Qualche volta, come un vecchio dente, si muove un sasso che sembra lasciato lì per me quale inganno, non lo carico con il mio peso, ma con lo sguardo cerco e con la mano misuro il prossimo appiglio. Gli occhi guidano le mani e subito dopo si posano sui piedi in un continuo ciclo ascensionale.
Movimenti coordinati dall’istinto quasi una danza sulla roccia. Solo raramente guardo in giù, giusto per orientarmi e capire dove mi trovo, in quale punto di questa parete.
Tra il primo e secondo settore roccioso una traccia porta sulla cresta, sufficientemente larga per camminare. Devo stare attento anche su questo tratto, ma mi distraggo un attimo con l’immagine di un paio di giorni fa che probabilmente la mia mente non ha ancora archiviato.

Gli occhi guidano le mani e subito dopo si posano sui piedi in un continuo ciclo ascensionale.

La partita di biliardo è già in corso quando entro nel bar
Le palle da biliardo sbattono una contro l’altra e questo rumore è l’unica cosa che potrei udire identica ovunque. Il tavolo da biliardo, vecchio e consumato, è già servito a chissà quanti nella sua annosa esistenza. Ora si trova qui sotto la tenda. Le stecche radunate in compagnia variopinta, sono di plastica e di legno, lunghe, corte e cortissime. La tenda è appoggiata alla casa che è diventata una sala scommesse e bar. L’unico luogo dove gli abitanti del villaggio si ritrovano in cerca di divertimento. La partita di biliardo è già in corso quando entrando, a mezza voce, accenno un saluto.
Sul tavolo alto è già disposta una discreta collezione di bottiglie di birra; in mezzo a loro c’è un grande piatto con carne e patatine (il meze¹); in questo momento – tra il pranzo e la cena – è lì per la compagnia e le mosche.
Guardo la partita non troppo interessato e ascolto i consigli che generosamente elargiscono coloro che non giocano, citando figure geometriche a loro conosciute.

Nedim mi guarda dritto negli occhi e mi dice: «Morirai!»
Mi si avvicina Nedim balbettando, inizia il suo discorso facendomi le domande di rito: «Quando sei arrivato? Quando vai via?» Così si chiede a quelli che non vivono più stabilmente in zona ma tornano ogni tanto a fare visita. È segno di attenzione, ma in realtà serve a rompere il ghiaccio nella comunicazione. Rispondo anche se so che non gli interessa. Vedo che vuole dirmi qualcos’altro ma non sa come iniziare. In realtà lo sa ma balbettando gli viene più difficile.
«… Ve… ve… ved… vedo che ancora arrampichi sulle rocce, neve e ghiaccio», riesce a dire.
Qualche volta pubblico sulla mia pagina facebook o sono gli amici a taggarmi le foto che anche Nedim ha notato. Rispondo: «Si, ogni tanto». So che per la maggior parte della gente quello che pubblico non ha molto interesse, i valori comuni per lo più sono di altra natura.
Nedim si ferma e mi guarda dritto negli occhi, per alcuni istanti e senza più balbettare mi dice: «Morirai!»
Questa sentenza o predizione non me l’aspettavo, ma so che significa qualcosa tipo: «Stai attento a non cadere e che Dio non voglia che tu muoia».

Come la palla nera, quando cade in buca finisce il gioco
Lo guardo dritto e vedo che si aspetta una risposta o almeno una reazione. Prendo un attimo di tempo e poi gli dico: «Forse no».
Nedim non si aspettava una risposta così, perché il ‘’forse no’’ ha dentro di se anche un “forse sì” e ciò lo inquieta. Come può uno andare da qualche parte sapendo che esiste la possibilità che non torni a casa? Gli leggo nei pensieri.
Poi all’improvviso la sua fronte si rasserena e come se avesse capito veramente, girando la testa mi dice: «Già, forse no».
Non c’è veramente un motivo per spiegargli come e perché faccio qualcosa di così pericoloso.
«È quando la palla nera cade in buca che finisce il gioco?», chiedo facendo finta di non saperlo. Lui mi guarda sorpreso da una domanda così banale e dice: «Sì, certo».
Guardo il tavolo con le bottiglie di birra vuote; so che Nedim balbetta di più quando ha bevuto e so anche che sarebbe troppo facile fare i paragoni con il rischio che lui accetta ogni volta, quando si siede ubriaco dietro il volante. Perché questo, qui, è normale ed accettato.
Così, come d’abitudine, chiamo il cameriere, pago la mia Cola e un giro per tutti.
Molti degli amici che avevo non sono più tra i vivi e le cause sono le armi e la guerra o un male incurabile o incidenti stradali, ma anche, come per il mio buon amico, l’incidente in montagna.

Tra i due settori, proseguo, sulla traccia verso l’inizio della parte più ardua. I pensieri si diradano come la nebbia al sole e ora in questo momento dove realmente esistiamo solo io e il tempo non mi rimane altro che finire quello che ho iniziato e uscire in cima.
Questa è la prima parte del percorso. La seconda, tornare ancora una volta a casa, è la vera meta.

_____
1) meze è un piatto di carne per accompagnare dei superalcolici.

Molti degli amici che avevo non sono più tra i vivi e le cause sono le armi e la guerra o un male incurabile o incidenti stradali.
Husein Salic

Husein Salic

La mia terra natale è la Bosnia ed Erzegovina, sono della classe del '73 ed è da un quarto di secolo che seguo la mia principale passione, la montagna. La cerco nelle sensazioni del corpo, nel respiro che cambia, nella gioia dell'aria tersa. La cerco nella bellezza dei luoghi e degli animi umani. Alle volte da solo altre in compagnia.


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