Così fanno gli uomini da quando il tempo ha imparato a contare i suoi passi. Ma esiste anche un altro mondo, dove quella notte si carica di significati lontani dal sentire umano. È il regno del vento, della notte e delle civette.
L’orologio del campanile di Pitastorta, in quella notte di Natale, cosa strana a dirsi, sembrava fare una fatica terribile a spingere avanti i propri minuti. La lancetta dei minuti pareva quasi incollata, mentre quella delle ore si trascinava stancamente, come appesantita da uno strato di ghiaccio. La luce gialla che illuminava il campanile e l’orologio conferiva alle due lancette un aspetto di sacra solennità, rese ancora più evidenti da un tremulo filo di vento che, allegro, scendeva dalla valle.
Di quel preoccupante rallentamento, proprio nella notte di Natale, si accorse anche Giusi.
Sul bordo di un lucernaio del campanile, la civetta Giusi osservava ogni notte, con tranquilla regolarità, le monotone passeggiate delle lancette. Quella sera non era uscita in cerca di qualche topolino ancora vagante nella fredda notte invernale: aveva preferito restare lì, sola sul campanile, invece di accompagnare le sorelle a caccia sopra i tetti. Mentre apriva e chiudeva i suoi luccicanti occhietti, come solo le civette sanno fare, notò che l’orologio aveva davvero qualche problema. Si spinse allora fuori dal lucernario e, dopo pochi battiti d’ali, si posò su un ferro vicino al quadrante. Appollaiata su quel ferro — un tempo usato dagli abitanti di Pitastorta come meridiana — Giusi poteva ammirare le luci degli alberi di Natale che, senza obbedire ad alcuna legge, si spegnevano e si accendevano.
L’aria fredda e limpida permetteva ai suoi occhi di spaziare su tutto il paese. Nonostante fosse notte fonda, Giusi riusciva a riconoscere ogni cosa. Vide le solite facce trattenersi nei due bar della piazza, prima di andare a letto: qualche bicchiere di vino, una partita a carte. C’era anche chi, pur frequentando abitualmente quei bar, non giocava mai: sedeva paziente, osservando. Era uno strano pubblico, capace di suggerire mosse e appassionarsi al gioco senza mai prendere in mano le carte. Chi conosce gli abitanti di Pitastorta sa che anche questo è un ottimo divertimento.
Il vento gelido della valle trovò Giusi assorta in quei pensieri e, con un leggero buffetto alle penne lucide, la scosse, riportandola al motivo per cui era uscita dal campanile.
Si rivolse allora all’orologio e, sommessamente, quasi temendo di disturbare il suo lento lavoro, disse:
— Caro segnatempo, scusami se mi permetto, ma questa sera mi sembri un po’ rincitrullito. Per notti intere ti ho osservato muovere le tue braccia con disinvoltura, impresa degna solo dei grandi tuoi fratelli. Da anni non perdi un secondo e nemmeno lo scorso inverno, con trenta gradi sotto zero, hai dato segni di cedimento. E invece, proprio stasera, a poche ore dalla mezzanotte, sembri in seria difficoltà.
Vista la reticenza dell’orologio, Giusi fece appello alla loro amicizia:
— Dimmi, ti prego, che cosa ti sta succedendo?
