Racconto

IL DONO DELLO STRINGYBARK

testo e foto di Johnny Bertelle

30/01/2021
5 min
Quel giorno arrivai al lavoro in anticipo e così decisi di salire verso le colline che dalle rive del fiume, dopo una stretta pianura, si alzavano verso ovest.

Dopo aver superato le ultime abitazioni e i meleti che coprivano le parti più assolate del pendio giunsi su un tratturo, aperto malamente da un bulldozer, che percorsi rapidamente fino in cima alla collina. Dinanzi a me trovai una piccola zona pianeggiante di circa un ettaro, ricoperta da vecchi meli artritici, delimitata su due lati da grandi massi e altri più piccoli, ammucchiati alla rinfusa, dalle cui fenditure spuntava una foresta di rovi.

I rovi, scoprii in seguito, erano giunti dall’Europa, non so se accidentalmente o di proposito, ad ogni modo qui trovarono il terreno adatto e nessuna capra disposta a mangiarseli. I loro frutti, le more, venivano divorati in grande quantità dagli uccelli indigeni e da stormi forestieri e tutti spargevano i semi all’infinito, moltiplicando l’abbraccio spinoso a dismisura.

Scoprii anche che i massi tondeggianti di dolerite⁽¹⁾, che vedevo accumulati qua e là, erano il frutto del lavoro di ex galeotti che, agli inizi dell‘800, dopo aver pagato il loro debito si videro assegnare quei terreni con l’impegno di dissodarli, ripulirli e coltivarli. Con seghe e asce arcaiche, furono abbattuti giganteschi alberi di eucalipto, bruciate le ceppaia le cui radici arsero per settimane. Dal suolo color arancio spuntarono i sassi, anch’essi di colore arancio ma blu-grigi all’interno, che vennero ammassati in lunghe file a segnare i confini. A portare quei massi lassù era stato il ghiacciaio che copriva tutta la valle e durante la fase del ritiro dei ghiacci i massi furono dispersi un po’ ovunque e, poco a poco, ricoperti di terra fertile.

Quando giunsi ad affacciarmi sulla valle che avevo dinanzi a me, rimasi folgorato dalla bellezza del paesaggio. Il delta del fiume, duecento metri più in basso, si apriva a centottanta gradi: acqua, isole, lagune, un susseguirsi di ghirigori disegnati dalle maree. Tornai al lavoro con gli occhi colmi di tanta bellezza. Quella stessa sera un amico mi disse che quel terreno sarebbe stato messo in vendita da un suo conoscente. Fu così che acquistai quel fazzoletto di terra, un rettangolo di un ettaro dove, dopo che i meli furono sradicati e bruciati, rimasero solo i massi portati dal ghiacciaio.

E’ il luogo che ti dice che tipo di casa puoi costruire e il momento più bello è quando ti siedi sulla tua terra e diventi tutt’uno con lo spazio attorno a te. Guardi il sole per capire come si muove, osservi da dove arriva il vento e come scorre l’acqua, cerchi di capire dove mettere le fondamenta, valuti come orientare la casa e a cosa dare le spalle, decidi dove piantare gli alberi sempreverdi che ti proteggeranno dal vento e quelli decidui che lasceranno filtrare il sole d’inverno e ti doneranno l’ombra nelle torride giornate estive. Osservi come il panorama muta continuamente con colori diversi e sprazzi di luce, una gamma infinita di doppi arcobaleni dai colori vividi, di nebbie che serpeggiano sul fiume e tra gli alberi, sotto un cielo blu cobalto.

Era una terra appesa al cielo e con tutta quell’acqua che vedevo lì sotto mi suggerì il movimento nello spazio. Chiusi gli occhi e mi apparve una nave. Decisi così di costruire una barca e come per tutte le imbarcazioni il vento era vitale.

Johnny Bertelle con i genitori in visita all'abitazione in costruzione (2020)
Johnny al lavoro nel cantiere della sua abitazione

Rivolsi la casa a nord-est, dove il vento soffia più mite in questa valle della Tasmania, con il fianco a est sud-est parallelo al fiume, in modo che ogni stanza potesse godere della prima luce dell’alba e, nelle notti d’autunno, della luce delle aurore australi che pulsano di verde e rosso, tra noi e la via lattea.

Dove le valli si aprono a nord nord-ovest, da lì giungono i messaggi delle calde estati australiane: l’odore dei deserti e degli incedi delle foreste di eucalipto. Durante le piogge invernali o nelle rare nevicate, dal terreno sale invece l’odore caratteristico di terriccio, di funghi e di panno bagnato, noto a tutti gli abitanti dell’emisfero nord. A questo odore, quaggiù, si aggiunge l‘intenso profumo del tea tree⁽²⁾, mosso pigramente dai ventagli delle grandi felci.

La protezione offerta da una collina a sud sud-ovest fu un dono, un segno sicuro di benevolenza della natura. E’ da lì che arrivano i venti impetuosi e impietosi che travolgono questa isola che poggia su canne d’organo di basalto che escono dai fondali marini.

Da nord-ovest a sud, a protezione dei Quaranta Ruggenti⁽³⁾, come chiamano gli anglosassoni il vento che spira costantemente da ovest, piantai una fila di blu gums e di blckwoods. E come i coloni scozzesi e irlandesi che piantarono holytrees, hawthorns, thissle and broome immagino per la nostalgia delle piante di casa anch’io cercai nei vivai i ricordi della mia giovinezza e vi trovai: larici, abeti, frassini, querce, faggi, betulle e persino un pino mugo. Piantai distese di iris e di agapante, un ulivo e molti eucalipti nani che a febbraio si accendono di drappi di colore rosso e arancione vivo.

Per costruire le fondamenta, scavai a mano più di cento buche (60 x 60 cm e profonde 90) in cui piantai dei pali in acciaio trattati con antiruggine. Con una gomma da giardino, trasparente e riempita d’acqua, trovai il livello per i pali delle fondamenta sui quali avrei fissato le assi portanti del pavimento. Cstruii i telai per le pareti e dentro misi gli occhi della casa: le finestre che mi avrebbero portato in casa la bellezza dello spazio aperto. Sopra i telai misi le travi a sostenere il tetto in lamiera che mi avrebbe cullato nel sonno durante le notti di pioggia.

Tutto il legname della casa fu il dono di un solo stringybark (Eucalyptus delegatensis), un maestoso eucalipto con una circonferenza di 8 metri e un’altezza di 70. Lo vidi su un camion appena uscito dalla foresta, lo acquistai e lo indirizzai alla segheria che lo tagliò nelle misure di cui avevo bisogno. Per costruire la cucina, i mobili e le porte, invece mi servii del legno rosso del myrtle (Nothofagus cunninghamii). La veranda, come la prua della nave, la rivolsi a nord-est, appesi a mezz’aria dal soffitto un’elica in bronzo. Era ora di partire!

Vivere in questa casa è stato come abitare in un’astronave. Mi viene in mente la sit-com inglese Red Dwarf degli anni ’80: un’astronave alla deriva in un universo ignoto⁽⁴⁾. O anche come sedersi sulla sedia di una giostra, in cui la forza centrifuga ti spinge lontano e vedi il mondo girare veloce attorno a te. La casa a poco a poco è diventata un organismo vivente, in connessione tra alberi vivi e quelli abbattuti per costruirla, tra i fiori e le api, tra i miei tozzi menhir e le grosse lucertole dalla lingua blu. Un’arca colma delle mie peculiarità, dei miei timori, delle mie irriverenze.

Nella mia borsa dei trucchi si agitano nuove pulsioni, nuovi aneliti e nuove avventure. Dopo 20 anni è ora di ripartire⁽⁵⁾.

_____
⁽¹⁾ Le doleriti sono rocce mafiche subvulcaniche, olocristalline a composizione mineralogica identica a quella dei gabbri.

⁽²⁾ La Melaleuca alternifolia è comunemente nota come ‘albero del tè’ e commercialmente come ‘tea tree’. Nonostante il nome, non deve essere confuso con la Camellia sinensis dalla quale si ricava la bevanda che comunemente viene chiamata tè.

⁽³⁾ L’espressione “Quaranta Ruggenti” (Roaring Forties) si riferisce ai venti furiosi delle latitudini oltre i 40° ed è stata coniata dagli inglesi all’epoca dei grandi velieri che passavano per Capo Horn. Sono i venti che soffiano lungo le fasce di oceano più estreme delle latitudini australi, zone dove l’aria fredda dell’Antartide e quella calda degli oceani si mescolano originando intense depressioni atmosferiche amplificate dalle scarse terre emerse.

⁽⁴⁾ La situation comedy, o sitcom, è un genere di commedia nata per la radio, ma successivamente rappresentata soprattutto da serie televisive. Animata da un umorismo particolarmente bizzarro e demenziale, la sua storia ruota attorno alle avventure dell’equipaggio dell’astronave mineraria Red Dwarf, ed è andata in onda dal 1988 al 2009.

⁽⁵⁾ lo scorso anno (2020) Johnny Bertelle ha venduto la sua casa.

Johnny Bertelle

Johnny Bertelle

Sono nato a Melbourne, a 4 anni ritorno in Italia con la mia famiglia dopo una crociera di 40 giorni. Durante la naja corono uno dei due sogni di mia madre: conseguire un diploma (prendo quello di rocciatore). Poco dopo l’altro sogno: diventare prete (vado in alpeggio a malga Losco, a Casera Razzo, come pastore di manze, non di anime). Dopo 6 mesi in giro per l'India e il Nepal, a 22 anni, ritorno in Australia. Lì raccolgo mele, avvio ristoranti e laboratori di gelato, lavoro con la forestale, costruisco case in legno e vendo "tempura mushrooms" ai festival della Tasmania. Vivo a Franklin sullo Huon River in una delle mie case, dove offro vitto alloggio ed escursioni, per turisti italiani. Prima di ogni viaggio, per prendere coraggio, andavo sui Monti del Sole con gli amici di allora, le “formiche rosse”: Diego, Aldo, Bob, Manolo, Raffaele e altri ancora. Che bei tempi!


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1 commenti:

  1. Chiavarelli ha detto:

    Vorrei vederla questa tua arca.

    Hai dato nome e orientamento, un privilegio.
    Guardo la campagna veneta massacrata da sogni distorti… Grazie del racconto.

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