Doveva radersi erano passati troppi giorni, il viso trasandato parlava della sua anima indifferente.
Non aveva più forza, conosceva quella sensazione e aveva paura, la testa era staccata dal corpo, un’entità che galleggiava solitaria nell’aria calda.
Inevitabile il pensiero scavava nei recessi della mente, evocando lo spettro di otto anni prima, quando devastato da una cura d’interferone, era crollato, frantumando lo sguardo sul pavimento.
Il giorno dopo doveva partire per un’escursione, ed era lì davanti allo specchio con il rasoio in mano incapace di prendere una semplice decisione: passare la lametta sul viso, terra incolta dove nascevano e morivano pensieri senza rumore.
Il giorno dopo doveva partire per un’escursione, ed era lì davanti allo specchio con il rasoio in mano incapace di prendere una semplice decisione: passare la lametta sul viso, terra incolta dove nascevano e morivano pensieri senza rumore.
La sveglia suonò troppo presto o forse non aveva nemmeno dormito.
La stanchezza lo accompagnò in bagno cercando il conforto dell’acqua fredda e in cucina bevendo il caffè, sperando di sentire la violenza della caffeina nel sangue scacciare quel torpore infinito.
Riempì lo zaino alla rinfusa e recitò una preghiera, prima di salire in auto, perdendosi nella notte.
La musica era irritante così come la prima sigaretta del giorno, la strada era lunga, i pensieri sfilacciati attendevano l’alba che non arrivava mai.
Il giorno dopo doveva partire per un’escursione, ed era lì davanti allo specchio con il rasoio in mano incapace di prendere una semplice decisione: passare la lametta sul viso, terra incolta dove nascevano e morivano pensieri senza rumore.
L’uomo si fermò dove aveva appuntamento con la guida, un caffè doppio, poche parole e un sorriso incerto velato da quel malessere appiccicato sulla pelle febbricitante.
Tre ore d’auto, infiniti tornanti aumentarono la nausea, che raggiunse il culmine quando la guida indicò la cima di quel giorno.
L’uomo osservò la montagna; ghiaioni immensi, grigi, quasi verticali e inaccessibili al suo sguardo spento.
Infilare un dito in gola e vomitare ogni cosa, i caffè e la bile schiumante che avvolgeva il cuore. Desiderava solo tornare a casa, pensò al suo corpo muscoloso e tatuato, inerme, appoggiato sul sedile dell’auto vittima innocente dei suoi errori. Voleva sentirsi libero di sbagliare e continuò.
Incominciò a camminare per mulattiere fangose, arrivando alla base di quell’oceano di ghiaia che immobile attendeva i suoi passi, la croce della cima era visibile, ma era così lontana, troppo vicina al cielo per le sue forze.
L’uomo non parlò e affondò gli scarponi nel ghiaione, indossò il cappello di lana ricordo del padre, strinse tra le mani i bastoncini e proseguì la salita.
Ogni passo era una conquista, affondava sulla ghiaia che lo respingeva, non pensava a nulla, troppa fatica. Il sudore scendeva copioso sulla fronte e la schiena, mentre gli scarponi si riempivano di sassi che si conficcavano sotto i piedi.
Il cuore batteva forte, la salita non terminava mai, tutto sembrava così uguale, instabile come i suoi pensieri abbandonati.
L’uomo pregava perché quel dolore restasse lì, tra quelle montagne che tanto amava, ma in quel momento c’era solo un faticoso silenzio da attraversare in un mondo estraneo che non conosceva più.
In montagna bisogna andare con il cuore pulito, lo sapeva, se no lei ti respingerà. Lui si sentiva sporco e sfinito, desiderando solo di sedersi e aspettare che tutto finisse.
Arrivarono lentamente in cima, l’uomo guardò la croce. S’inginocchiò e iniziò a piangere, un pianto silenzioso, poi sgraziato e violento, che dolcemente avvolse il suo corpo freddo di calore e pace.
Le lacrime erano parole e nomi delle persone che amava, la rabbia e la paura di quei giorni passati a sopravvivere al tempo…
Qualcuno lo aveva chiamato lassù quel giorno per parlare al suo cuore spento.
Chissà perché aveva scelto quella cima, quel nome… oggi.
Forse quel Dio che tanto cercava.
Cima Uomo 3010 metri. Gruppo Marmolada. Grazie Eric Girardini Guida Alpina.
Avvincente e ricco di pathos