Fotostoria

TILICHO, IL BLU DELL’ANNAPURNA

testo e foto di Marco Battistutta

Un ragazzo e il suo cavallo, Pisang
26/06/2021
5 min
Unire la fotografia e la montagna è sempre stata per me una passione, ma nel tempo ho piano piano spostato i miei interessi dalla fotografia di paesaggi a quella di ritratto da strada.

Piano piano ho imparato l’importanza di alcune cose, come il contatto con le persone che non conosci, e il fatto che non sempre si ha la capacità di comunicare nella stessa lingua. Partendo per il Nepal, qualche anno prima che esso venisse flagellato dal terremoto, mi sono accorto di una cosa. Nello zaino mancava qualcosa di importante, non erano ramponi o carte topografiche, erano le foto della mia famiglia e della mia vita qui in Italia.

Un abitante di Jagat

Ogniqualvolta avevo la possibilità di fermarmi e parlare con qualcuno, non sempre la lingua favoriva una comunicazione facile, ma quello che interessava alle persone delle valli Nepalesi era da dove venivo, come stava la mia famiglia e com’era la mia regione. Le immagini hanno un linguaggio immediato, che aiuta a mettere in relazione mondi lontani, anche senza conoscersi. Passando in rassegna un libretto con le foto di miei amici, parenti, e montagne friulane, le persone sorridevano e chiamavano tutta la loro famiglia a salutarmi, presentando loro una specie di nuovo amico e volendo che vedessero con i loro occhi quelle immagini di terre e persone così remote.

Una festa di famiglia, Ulleri

Partii per concludere un giro iniziato anni prima ma lasciato a metà, la destinazione era quella di concludere l’anello dell’Annapurna, attraversando quattro regioni: Lamjung, Manang, Mustang e Myagoi.
Quello che sorprende a prima vista, entrando in queste terre, è la varietà climatica che si incontra dal fondovalle alle cime più alte: una giungla con scimmiette e vegetazione folta cede il passo, salendo, ad ampie risaie e coltivazioni a terrazze, per poi raggiungere scenari di pascoli con yak verso i 3500 metri. A passo d’uomo, su una strada sterrata che a tratti diventa sentiero e dove la gente si muove ancora a cavallo o con i muli, sono partito da solo, ma passando di villaggio in villaggio ho potuto trovare altre persone con cui condividere il cammino.

Trasporto merci a dorso di mulo, strada della valle del Marsyangdi
Coltivazioni a terrazza, Gandruk

Il cammino richiede molti giorni, all’inizio si percorrono valli e canyon, poi gradualmente si sale, ed in tutto l’anello si possono vedere montagne dai nomi quasi mitologici: Manaslu, Dhaulaghiri, Machapuchare.
Thorong-La è il valico a metà percorso, che conduce alla regione del Mustang, nel punto più alto percorso dal sentiero. Lungo il cammino, ai piedi dei giganti Himalayani, si può capire come la vita locale, basata sull’allevamento e sul turismo, sia intimamente legata alla religione ed ai cicli stagionali. Arroccati negli altopiani sopra le valli e nei punti di passaggio, hanno sede diversi monasteri buddhisti. Per gli indù la montagna qui è Annapurna, la divinità che nella tradizione è la portatrice del cibo.

Manang, un’abitante del villaggio

Osservo con curiosità una pianta che cresce spontanea sul margine del sentiero e che mi rimanda ad esperienze botaniche dell’università. “Buongiorno signore”, mi approccia timidamente un ragazzo “E’ vietato raccogliere quelle!” mi indica. “E’ meglio farlo di notte senza essere visti.” Poi mi spiega meglio “Quando ero piccolo mio nonno mi mandava a prendere i fiori. Lui era un brahamino e fumava il chilum, che è sacro a Shiva. La notte io e i miei cugini andavamo a raccoglierla e il nonno ci dava 5 paisa”. Con un sorriso ammicco al ragazzo facendo capire che se non ero certo che si trattasse di marijuana, ora posso osservare che cresce dovunque.

Stupa, di fronte all’Annapurna III
Vista sul Gangapurna

Nel procedere in quello che nella mia mente era il percorso più ovvio, una sera, in una guesthouse a Manang, ebbi la fortuna di incontrare due nepalesi della mia età, provenienti dalla città e come me in trekking. Erano appena scesi dal lago di Tilicho e mi dissero che la strada per il lago era percorribile. Il rischio di valanghe era sceso ed il campo base era quasi vuoto perché nessuno si aspettava un disgelo così repentino. Forse avevo letto di questo lago in qualche guida, ma avevo giudicato la meta come troppo remota per il mio viaggio.
Diedi un’occhiata incuriosito alla carrellata di immagini che avevano catturato lassù in cima e capii che due giorni di deviazione erano una scelta dovuta per arrivare in quel posto affascinante. Riuscii persino a convincere i due ragazzi (uno spagnolo e un nepalese) che camminavano con me a salire al passo di Tilicho.

Altari buddhisti, al contempo segnavia e monumenti spirituali
In cammino, verso il campo base di Tilicho

E quello che intendo lasciare ai lettori non sono più parole, ma immagini, per lasciar pensare a dove arrivare inconsapevolmente, non incoscientemente, lasciando che siano i sentieri, gli incroci e le parole delle persone locali a portarti dove non avresti immaginato.

Il passo di Tilicho Est
Tilicho Lake, il lago più alto del mondo

Volevo concludere così, ma scrivendo mi sono reso conto che non era solo il blu ed il bianco di quel posto così lontano ad avermi affascinato, e questo titolo e questa storia erano solo una captatio benevolentiae per farvi conoscere una popolazione che è mite ed ospitale, nonostante le terre aspre nelle quali si trova ad abitare.
Oltre alle difficoltà economiche con cui sono sempre dovuti scendere a patti, stanno fronteggiando anche una dura ricostruzione che, a seguito del terremoto nel 2015, andrà avanti ancora per anni.

Un ragazzo di Kangsahar, lavora a 5000m in una piccola tea-house (leggi: bivacco) sul lago di Tilicho.
Una ragazza sul bus per Pokhara

Marco Battistutta

Sono un appassionato di fotografia e di montagna, e mi ritrovo sempre con lo zaino che pesa due chili in più a causa della reflex. Da quando ho scoperto lo sci d’alpinismo cerco di godere il massimo da queste esperienze. In estate pratico trekking, canyoning e (in maniera dilettantesca) l’arrampicata.


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