«Ora basta! Credo che adesso anche per noi sia arrivato il momento di spingerci più in alto e portare questa nuova filosofia dello spit in quota anche da noi. D’altronde guarda Cambon: in Francia ha fatto vie mozzafiato su pareti alte anche più di 500 metri… Oppure Piola e Vogler: con le loro vie nel gruppo del Bianco stanno lasciando un segno importante. E noi? Noi cosa facciamo oltre a stare a guardare quello che fanno gli altri? Le nostre valli è ora che voltino pagina e che si aprano a questo stile. È ora che i retaggi mentali di un alpinismo di fine ottocento vengano vinti per lasciare spazio al nuovo».
Questo fu l’incipit a metà strada tra il serio e il faceto con il quale Giancarlo (1) cercò di convincermi a partire per una nuova ed ennesima avventura alla ricerca del “moderno”.
«Perfetto, io ci sono. Ma tu dove pensavi di andare?»
La risposta era ovviamente pronta, lui aveva già pianificato tutto e aveva pure individuato una linea autonoma e difficile che salisse in cima al Cervino delle Valli di Lanzo. Il suo non era un invito a vedere la mia reazione, la sua era una decisione: Uia di Mondrone. Non solo, per il fine settimana successivo aveva già anche stabilito tutta la logistica:
«Allora, io e Aldo Morittu saliamo il venerdì mattina, passiamo dal bivacco a posare le cose superflue ed andiamo in cima passando dalla normale. Calandoci attrezziamo la via sino a che reggono le pile del trapano. Tu, che al venerdì lavori, stacchi magari un pò prima e porti su la cena ed il resto del materiale per finire la via il sabato».
Inutile dire che davanti a tanta determinazione qualsiasi mia osservazione sul metodo e sul merito sarebbe risultata inutile e inopportuna. Poi diciamola tutta: forse il tracciare una via nuova sulla parete nord-est di una delle mie montagne preferite mi stimolava al punto che nessuna osservazione mi sembrò sufficientemente degna per poter ostacolare il piano che Giancarlo aveva già cosi minuziosamente architettato.
Il fatto di piantare spit ci era ormai diventato familiare e quello poi di piantarli dall’alto, all’epoca, non ci faceva interrogare in nessun modo su quanto fosse eticamente giusto o sbagliato. Lo si faceva e basta, senza se e senza ma. Solo ogni tanto, e a costo di mille peripezie, chiodavamo dei tiri dal basso ma a questo compito era in genere deputato il sottoscritto, che dal basso doveva ricongiungere la propria linea con quella tracciata da Giancarlo mentre si calava.