Racconto

#47 • La stanza blu

Ai lati ci sono quattro stanze, due per lato. Una è blu. Di questa non ho misure. So solo che è blu.

testo e foto di Saverio D'Eredità  / Udine

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01/01/2020
5 min
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L’estate era stata inaspettatamente lunga. Avevamo sfruttato tutti i giorni possibili, anche quelli sbagliati.

Veniva ora il tempo, di luci radenti ed un certo rammarico. Veniva quel tempo e uno ad uno scioglievo i nodi che mi legavano agli amici. Ricordo ancora l’ultima volta. La schiena addossata alla parete, gli anelli di corda sparsi per terra, nebbie che salivano come una lenta marea e nient’altro da aspettare se non te.
«Come ti senti» chiese l’amico. La domanda era legittima. Scontata, persino. Eppure non trovava risposta.
Avrei voluto dirgli che nulla era cambiato, sebbene tutto stesse accadendo. Perché, in verità, l’unica cosa diversa in me erano diventate le notti. Colme di un mare che pian piano entrava nei sogni, sommergendomi lentamente. Tenevo la tua mano mentre andavo giù. Sapevo che non ero io a dovermi salvare.

Scendemmo quindi bordeggiando la notte, con un’inquietudine che ora dirti non saprei. Non era la strada – già mille volte percorsa – né l’ora. Forse la domanda. Le cose stavano accadendo e solo adesso realizzavo che non avevo le risposte. Che prima di te avrei dovuto riannodare la trama smarrita dei passi, di tutto ciò che in qualche modo ci lega.
Avrei dovuto prendermi cura, di questi giorni. Annotarli in un diario, riportare con precisione stato del cielo, temperatura, valori chimici nel terreno e nell’aria. Registrare suoni, catalogare colori e in qualche maniera persino gli odori. Procedere ad un’accurata misura del mondo, un’immagine esatta seppur un po’asettica. Ma una mappa non dovrebbe essere niente di troppo sentimentale.

I giorni prima di te erano trascorsi piano. Ho corso per colline ombrose e denudate. Ogni tanto l’odore di terra buona, altre un fruscio che riapre una ferita piena di paure. Sono salito su una cima che era sola come me, bionda nell’ora del tramonto. E penso a te, che non conosci ancora la forma di queste montagne, di queste creste spiegate come vele sull’inconcepibile orizzonte della pianura.
Domani verrai tu e tutto potrebbe essere diverso. Avranno altre forme le creste, darai nuovi nomi alle cose, diverse ti sembreranno queste colline. È forse questo che ci sostiene, che malgrado tutto ci permette di andare avanti? Che venga qualcuno dopo di noi a vedere il mondo di nuovo, che trovi la chiave per rendere tutto nuovamente perfetto. Ogni nuova vita è un principio di rivoluzione.

Il giorno prima di te ho comprato una pila di giornali, ancora alla ricerca di quelle risposte. Ho passato il resto del mio tempo seduto al bordo del letto, mentre le ore sfilavano e di tutte le cose che potevamo sapere, questa ci rimaneva preclusa. Mesi di ecografie, analisi e monitoraggi, eppure ancora questa porzione di mistero rimaneva.

Il giorno prima di te

Alla fine del giorno le pagine sono sfatte come la mia faccia e la mia camicia. C’è la foto di un orso bianco alla deriva su una banchina e leggo che i ghiacci al Polo si stanno sciogliendo. Ci sono persone che vanno alla deriva nel mare e un omino vestito di nero che non smette di parlare. C’è un grande incendio e del fumo blu, si gioca una partita, della gente si lamenta perché non sa cosa ha votato e altra protesta perché vorrebbe votare. I governi si riuniscono e non decidono. Fuori dalla finestra osservo le montagne incendiate dal tramonto, la neve non è ancora arrivata e potrebbe non arrivare più. Mi dispiace non aver fatto in tempo ad aggiustare le cose e nemmeno trovare le risposte. Ammasso i giornali sul comodino e aspetto.

Attraverso i corridoi, tento di uccidere il tempo che lentamente sta uccidendo me che non ho saputo accettare il tempo. Incrocio un uomo che scappa trattenendo le lacrime davanti ad un foglio bianco, una signora fissa annoiata un numero rosso. In fila ci si lamenta delle tasse, un anziano aspetta abbandonato in una carrozzina. Mi saluta un ragazzo che conosco. «Mia mamma se n’è appena andata» dice con una leggerezza che non so spiegarti. Si nasce nel mistero e nel dolore e lasciamo una lacrima e un sorriso. Non possiamo decidere l’inizio né tantomeno la fine, forse è per questo che passiamo il resto della vita a misurare, controllare, prevedere. Cercando di erodere ogni angolo di questo mistero che ci inquieta, come in quella discesa, come il mare che ha sommerso le mie notti.

Murad è seduto con le gambe incrociate su un tappeto polveroso. Mi offre del riso e mi parla del suo paese tra le montagne. Si stupisce che io ne conosca i nomi. Mi mostra una foto, c’è un ragazzino in piedi, porta una tunica e un copricapo pashtun. È suo fratello. Un giorno gli uomini con la barba l’hanno portato via.
Mi racconta. Di un viaggio lungo e nero come la notte, tra gli altipiani dell’Iran e oltre le montagne del Kurdistan. Mi parla. Di un camion, di cammini ai bordi delle autostrade e di una notte lunga come un viaggio. Mi chiede da dove vengo. Tanto non capisce la mia lingua, mi sorride porgendomi altro riso. Prendi nota anche di questo. Di tutti i miei passi, i volti incrociati, le strade non prese. Quello che alla fine non sono stato. Siamo tutti figli di un viaggio e di una notte, come di un sogno o una bugia.

Credo manchi poco, non rimane che questo spazio da verificare. Il corridoio misura quaranta metri ed è largo due. Su un lato ci sono undici stanze e ventuno letti. Sull’altro quattro porte e un telefono che non smette di suonare. Il pavimento è colorato di arancione e le pareti sono bianche, con dei disegni. Ogni tanto qualcuno corre. In mezzo al corridoio c’è una porta grande e bianca da cui appare un altro corridoio. Ai lati ci sono quattro stanze, due per lato. Una è blu. Di questa non ho misure. So solo che è blu.
Il corridoio misura centoquarantacinque passi e un numero infinito di sospiri. Io e tua madre l’abbiamo percorso – sorreggendoci – quattro volte avanti e indietro.
E questi sono stati gli ultimi passi prima di te.

Gli ultimi passi

Questa storia partecipa al Blogger Contest 2019. Fai sapere all’autore cosa pensi della sua storia, scrivi qui sotto il tuo commento.

Saverio D'Eredità

Saverio D'Eredità

Palermitano di nascita, udinese d'adozione, alpinista (dilettante) per scelta. Camminare, scalare, sciare e scrivere sono i diversi modi in cui amo esplorare le montagne. Un giorno qualcuno gli chiese "ma cosa ci fa un palermitano sulla neve?” e da allora sta ancora cercando di dare una risposta. Nel frattempo scia, scala e scrive, ma nessuna di queste cose la prende veramente sul serio. Ha pubblicato alcune guide alpinistiche sulle Alpi Carniche e Giulie, condivide pensieri e racconti sul blog “Rampegoni”, ma ci tiene a precisare che tutto questo lo fa comunque nei ritagli di tempo, quando non si occupa di progetti europei e soprattutto dei figli.


Il mio blog | Rampegoni è un blog a quattro mani, ideato e sviluppato da Saverio D’Eredità e Carlo Piovan. Nato come costola dei siti web Rampegoni e Quartogrado, si propone di raccogliere spunti, pensieri, riflessioni sul mondo verticale e non solo, ampliando lo sguardo oltre i meri dati tecnici per tornare al vissuto dell’alpinismo.
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