La vista spazia senza limiti in un cielo terso.
testo e foto di Roberto Pedrazzoni / Parma
Il sentiero si snoda tra boschi di faggio e quercia dagli sgargianti colori autunnali, alternando ripide salite a riposanti tratti piani. Il silenzio è assordante, interrotto solo dal gorgogliare di un ruscello, che si fa spazio tra le prime foglie cadute dagli alberi.
Il muschio sulle pietre e sugli alberi esposti a nord amplifica i bruschi abbassamenti di temperatura nei tratti in ombra.
Non incontro nessuno, del resto l’avevo previsto, scegliere un giorno infrasettimanale è stata una piccola astuzia per tenere questo tempo solo per me.
Eccomi arrivato in cima.
La salita con lo zaino appesantito dall’attrezzatura di volo mi ha impegnato più del previsto, decisamente devo tornare a mettermi in forma.
Sudato mi guardo attorno, la giornata autunnale è perfetta, e la vista spazia senza limiti in un cielo terso dove i primi cumuli cominciano timidamente a formarsi.
Da tempo aspettavo l’occasione giusta per fare questa uscita, visualizzandola nei minimi particolari, al punto da immaginare la luce accecante del sole basso di ottobre.
Seduto sull’erba con la brezza che mi accarezza, comincio a valutare direzione e intensità del vento, e le possibili difficoltà dovute agli ostacoli; nei giorni precedenti ho individuato sulle mappe atterraggi d’emergenza, nel caso il volo non andasse come previsto.
Le condizioni non sono ancora mature per decollare, chiudo gli occhi e lentamente il ritmo del respiro, non più affannato, mi accompagna in uno stato di torpore, lasciando liberi i pensieri.
Parecchi anni fa, quando durante una delle cicliche traversate sulle alpi, con lo zaino carico di tenda, sacco a pelo, immaginazione da vendere e di tutto quanto è necessario per l’autonomia di qualche giorno, mi capitò uno di quegli incontri così preziosi che solo il cammino regala, se la disponibilità all’inatteso è vigile.
Giuliano, anziano malgaro dell’alto Comelico mi ospitò per la notte a malga Antola dove viveva e lavorava durante la stagione estiva.
La bellezza solitaria nel pomeriggio della val Visdende incoraggiava una pigra riflessione, complice una tappa lunga e faticosa lungo la traversata della cresta carnica.
Dopo qualche tempo ozioso trascorso all’ombra di un larice, Giuliano mi mostrò con orgoglio la sua “banca”, dove in ordinate file, su assi di legno, stagionavano i formaggi.
A sera, mi invitò a condividere con lui la cena, in quell’atmosfera illuminata solo da un paio di candele, mi spiegò, con l’entusiasmo che solo la passione del lavoro ben fatto regala, le differenze di profumi e sapori dei formaggi, a seconda delle fioriture dei pascoli che l’avanzare della stagione modificava.
Il tono pacato e i sorridenti occhi azzurri mi trasmettevano una consapevolezza antica, per me allora misteriosa, mentre versandomi la sua grappa da una bottiglia dal fondo pieno di cumino mi diceva: “assaggia la mia grappa di formiche.
La vista spazia senza limiti in un cielo terso.
Fuori dalla malga l’abbeveratoio recitava: “dai un calcio al mondo e vieni quassù”.
Invito accattivante per chi cerca di trovare soluzioni all’irrequietezza che ci accompagna in alcuni periodi della vita. Ma come insegna Seneca: “E’ l’animo che devi cambiare, non il cielo sotto cui vivi”.
Salto da un ricordo all‘altro senza soluzione di continuità, cosi mi trovo a fare uno di quegli inconcludenti bilanci, senza capo né coda.
Assecondato dal silenzio della montagna, i ricordi scorrono in un personale e autobiografico documentario.
Già, perché ho l’abitudine di dividere la vita in fasi, quella della giovinezza, quella dell’impegno nella famiglia e nel lavoro, infine quella che sta arrivando: della riflessione, senza bisogno di prestazioni e successi.
Quella che, come in questa giornata di ottobre, ha colori vivaci ma ritmi rallentati, e più si presta all’introspezione.
Il rinforzare della brezza mi riporta al presente, il set cambia rapidamente.
Sento la forza del vento attraverso i cordini, mi trasmette la resistenza della vela che si sta alzando sulla mia verticale, un rapido controllo, mi volto viso al vento, una breve corsa e la mia ombra si stacca da terra.
Sono in volo!
Adesso i sensi colgono i movimenti dell’aria che tutt’attorno, irrequieta, segue le leggi della termodinamica.
Concentrandomi per centrare le prime deboli ascendenze, guardo a malapena il paesaggio circostante.
I primi passaggi a caccia di termiche mi obbligano a un su e giù lungo il costone, radente alle cime degli alberi, ma appena la quota me lo permette, inizio a inanellare virate a 360 gradi dentro questa colonna invisibile che mi aspira verso l’alto.
Salgo all’interno della termica, come in un immaginaria e irregolare scala a chiocciola, senza pareti ne gradini.
Sto disegnando una spirale imperfetta, nel tentativo di rimanere entro il confine che separa la salita a una ripida quanto indesiderata discesa, in pratica, devo cercare di interpretare il menù di giornata.
Giuliano, anziano malgaro, il tono pacato e i sorridenti occhi azzurri mi trasmettevano una consapevolezza antica.
Fuori dalla malga l’abbeveratoio recitava: “dai un calcio al mondo e vieni quassù”.
Arrivato alla base del cumulo, sono in un altro mondo, fatto di arabeschi di umidità condensata, che sfrangiando i bordi della nuvola prendono tutte le tonalità che dal bianco vanno al grigio scuro, l’emozione è fortissima.
La quota guadagnata mi consente un lungo traverso verso la catena, concedendomi di abbracciare con lo sguardo, le montagne percorse tante volte lungo gli incantevoli sentieri dell’Appennino, che da questa prospettiva, assumono forme nuove.
Si alternano guadagni di quota esaltanti a preoccupanti discendenze che mi fanno immaginare atterraggi in luoghi scomodi per il rientro.
L’incertezza nella realizzazione dei piani rende affascinante il volo libero, disciplina completamente dipendente dalle forze della natura in gioco.
Sotto di me scorrono crinali, laghi e i piccoli borghi; sono invaso da gioia pura.
Ma il tempo in volo, ha una dimensione che sfugge alle regole delle lancette, e così mentre le termiche si indeboliscono capisco che il gioco sta finendo.
Per oggi gli dèi dei venti sono stati clementi, vedo lo spazio del prato che da minuscolo diventa sempre più accettabile per un atterraggio in sicurezza; non è esattamente dove avevo previsto, toccherà una bella scarpinata per raggiungere una strada, poi l’autostop e un lungo rientro per recuperare l’auto.
Ma intanto sono di nuovo a terra e, in uno stato di sospensione, rifletto sulla breve esperienza, di poche ore, ma di un’intensità difficile da descrivere, conosciuta e nuova allo stesso tempo.
Poi un pensiero: ciò che cerco non è un luogo ma uno stato.
E così, salire di quota in questo ambiente privo di tridimensionalità, è come salire una montagna fuori dallo spazio fisico conosciuto e misurabile; ciò che più assomiglia alla pulsione verso le cose alte, che raramente e con difficoltà, tentiamo di raggiungere. L’antica consapevolezza di Giuliano oggi mi è meno misteriosa, e ne intuisco una chiave di lettura per tentare di sottrarre il superfluo che appesantisce il cammino.
Allora alla suggestione del cammino, provo a sostituire una magnifica spirale imperfetta, che come per gli anelli di un albero, ne determina la crescita, tra ascendenze e discendenze, e che, come nel volo, ci costringe ad adattamenti continui per proseguire nella salita.
Così, sento i giorni e gli anni, che attraverso quegli anelli mi hanno portato qui, oggi e ora.
Salendo, incrocio le tracce delle spirali imperfette di chi mi ha preceduto, evanescenti presenze guida.
Comprendo gli incontri del passato e del presente, e nella continua ricerca di un equilibrio, proseguo.
Ancora una volta la meta non è un luogo, ma uno stato.
Forse, percorrere insieme questo viaggio, ognuno con le proprie inclinazioni e sensibilità, è la parte migliore del nostro destino.
Che dire? Sempre bello vederti trovare lo spazio per essere la persona che sei davvero. Sulle montagne e nella scrittura. I tuoi racconti e Giuliano, hanno tutta un’altra risonanza, acchiappati dalla scrittura. Bellissimo
anche se sommersa dal quotidiano, la vera essenza trova spazio ed emerge anche tra le righe di un piccolo racconto, grazie
È una schietta testimonianza della tua passione per l’ambiente montano
Si Daniele, una passione antica quanto me! grazie
Un testo molto bello é spratutto autentico.
Autentico come lo scrittore e la sua passione per la natura che sorvola con grande passione.
Grazie caro Andreas, una sensibilità che abbiamo in comune e ci permette di apprezzare i momenti passati in natura
Davvero molto bello.
Una storia molto più profonda di un volo e basta, c’è tutto il tuo sentire, che si evolve insieme alla crescita sul percorso della tua vita.
C’è tutto il tuo cuore, il tuo comprendere non solo te stesso, ma con occhi ed anima aperti anche ciò che hai intorno e diventa sintonia.
Grazie Karin, del tuo bel commento, davvero è cosi e sono talmente grato per questi momenti di riflessione sul percorso fatto……e quello che ancora rimane da fare, buoni voli!
Bellissima riflessione Roberto che ci trasmette la tua grande sensibilità, e la capacità di dare profondità alle parole. Il volo dev’essere una incredibile esperienza interiore, grazie per avercelo trasmesso.