#3 – Rifugio Quinto Alpini in Val Zebrù
Qui è difficile mandare selfie via whatsapp, non c’è la Coca Cola Zero e la doccia è un lusso.
Elena e Michele da sedici anni ogni estate lasciano i profili dolci delle colline del Franciacorta per diventare custodi e gestori del Rifugio Quinto Alpini in Val Zebrù, una manciata di metri meno dei tremila, nel cuore più autentico del Parco Nazionale dello Stelvio. Uno dei Rifugi più antichi delle Alpi.[1]
«Abbiamo aperto il 27 giugno[2], una scommessa: siamo saliti con lo staff del Rifugio, un gruppo tutto nuovo con il cuoco che arriva da Ravenna. Volevamo condividere con loro anche i primi momenti di riapertura della nostra casa estiva. Per me e Michele anche questo dà valore alla vita in Rifugio».
La neve primaverile ha reso difficile il riavvio della stagione. Quando Elena ha fatto scattare, nel buio del Rifugio dai tetti gialli, l’interruttore per illuminare l’ingresso, non è accaduto nulla. Un nulla che ha portato ad un intervento straordinario ed imprevisto di elicottero + elettricista per risolvere la cosa. A questo poi si è aggiunta la sostituzione di un bel tratto di tubatura idrica distrutta da gelo. E le tante piccole azioni da fare, come un rito magico, per dare di nuovo vita al Rifugio dopo il lungo letargo. A tremila metri è la Natura che decide le tue giornate. «Il clima sta cambiando: non abbiamo mai visto dei temporali in quota così gravidi di fulmini e tuoni, veramente impressionante».
Michele e Elena sono una coppia straordinaria: «Siamo diversi ma siamo la stessa persona: ci bastiamo uno all’altra» e anche in quota lo percepisci. Michele si occupa del Rifugio, fa in modo che sia tutto perfetto (per quello che è la perfezione in quei contesti aspri), non passa giorno che non scenda a valle e poi risalga carico all’inverosimile portando sulle spalle come un San Cristoforo il peso del mondo. È un motore energico e concreto. Una concretezza che, unità ad una naturale introversione, lo fa assomigliare ad un nobile capanat del XIX secolo. Michele non si limita ad essere un rifugista, è il custode del posto, il santo (laico) protettore di chi sale dal basso.