Una coltre di nebbia spessa ha invaso il paese.
La valle sta di nuovo bruciando, in piena primavera.
La stagione dello sci e dell’alpinismo qua in montagna ha le ore contate, la neve c’è in abbondanza solo tra dicembre e gennaio. A febbraio già scioglie.
I montanari, qui, sono sempre meno per via delle condizioni di vita che peggiorano sempre di più, sempre più in fretta.
Il caldo, il fumo, l’assenza di cibo, il clima estremo, i pochissimi collegamenti con le città, gli alberi che bruciano, i periodi di siccità̀, le piogge intense e le nevicate record.
«C’era una volta un clima mite che scandiva le singole stagioni» dice nonna mentre fa l’uncinetto «ed è bello poter vivere di quei ricordi» e aggiunge «vorrei li avessi vissuti anche tu…» singhiozza con una lacrima che scende dagli occhi.
Guardo l’app del meteo, dice che il fuoco in valle continuerà anche domani, poi arriverà una perturbazione che porterà̀ finalmente un po’ di pioggia.
Intanto il fumo ci obbliga a rimanere in casa oppure ad uscire per poter andare a caccia, anche in inverno. Il cibo arriva dalle città grazie alla linea ferroviaria ma è sempre meno e ci si deve adeguare con mezzi di sostentamento alternativi.
Le auto elettriche, sono un bene per pochi. L’auto si usa per scendere in valle – quando non c’è fumo o eventi climatici che bloccano le strade.
Le vie di collegamento come strade, autostrade e ferrovia sono distrutte e destinate al degrado in quanto la manutenzione è stata ridotta per via dell’incuria delle amministrazioni degli ultimi dieci anni.
Siamo sempre più isolati, noi montanari e nessuno si cura di noi.
La mamma dice che appena finiranno le piogge coltiveremo l’orto nel nostro appezzamento di terra. «Pianteremo solo ortaggi resistenti come le patate, le barbabietole e le carote perché solo le verdure che crescono sottoterra potranno essere commestibili» dice, poiché le piogge acide uccidono il resto delle coltivazioni.
La frutta è sempre meno e arriva ogni tanto dalla Francia. Ne mangiamo troppo poca e ciò̀ implica una carenza di vitamine in tutta la famiglia, riscontrata anche dal dottore-robot – un’intelligenza artificiale che sostituisce i vecchi dottori e che analizza il nostro DNA.
Ma siamo tutti “a rischio”, e non c’è più nessun uomo o donna con parametri normali da decenni.
«Siamo tornati indietro» ripete il nonno, «non è più̀ come una volta» risponde la nonna.
Si, i tempi sono cambiati e anche il modo di vivere. Infatti per mangiare, oltre alla spesa che facciamo una volta a settimana – se ci va bene – a valle, abbiamo una stalla in cui alleviamo le galline, le mucche e qualche pecora. Chi ha gli animali o un orto qui sopravvive, chi non se lo può̀ permettere scappa alla ricerca di un posto migliore, forse.
La crisi si sente, solo chi, con impegno e fatica, si adatta al cambiamento, sopravvive.
Nel villaggio a 1800 metri d’altitudine siamo rimasti in 10 famiglie con animali e orti, ma i problemi ci sono sempre: il fieno in estate è più complicato raccoglierlo e così diamo agli animali del cibo liofilizzato preparato in laboratorio che compriamo ai mercati in valle che arriva tramite le ferrovie.