Almeno questo era quello che pensavo prima di vederne uno caricare una Jeep, ad ogni modo, nella mia testa quell’erbivoro gigantesco continuava ad avere soltanto due aggettivi, lento e pesante.
Lento e pesante come me, la mia bicicletta e le cinque borse piene di cose inutili sulle colline della Repubblica Ceca.
Avevo deciso, il mio prossimo viaggio si sarebbe chiamato come quel mangia erba (che già ero) di otto quintali: Tatanka, lento e pesante.
6 giorni, 624 km, 14.000 metri d+.
Con quest’idea per il terzo anno di fila riempii le sei borse della mia bicicletta (non bastando ne avevo aggiunta una) e iniziai a pedalare. Il giro non era nulla di che, l’anno prima avevo fatto Vicenza-Barcellona e quello prima ancora ero stato a Berlino, ma per certi aspetti era il più importante di tutti, perché era mio, e soltanto mio, e per la prima volta ero da solo.
Sarei stato via soltanto 6 giorni, avrei pedalato per 624 km e 14.000 metri di dislivello, a volerlo fare veramente duro si poteva fare in meno giorni. Ma il bello era l’ultimo dato, 40 kg tra borse e bici. Io ne peso 58. Fatta la proporzione? Pensate a cento chili che se ne vanno su e giù per le Dolomiti ad un passo di 25 km/h per 6 giorni. C’è da ridere.
Tatanka, lento e pesante
“Su una vecchia bicicletta da corsa,
con gli occhiali da sole e il cuore nella borsa”
Da casa, andata e ritorno, attraverso le terre di mezzo.
Ma il problema non era tanto farlo, il problema era farlo come volevo io. Una cosa che non ho mai capito è perché mi ostinassi a fare ritmi da bikepacking (solo l’essenziale) portandomi via il peso di un cicloturista bavarese di mezza età. Il fatto è che mi piaceva andare forte, per quanto possibile, e mi divertivo da paura.
Ma l’idea non era solo il giro in sé, che in fin dei conti vale quel che vale, se non altro come esperienza personale, ma c’erano almeno altre due componenti che lo rendevano interessante.
La prima era simbolica, era il mio primo giro da solo, cadeva nell’anno della maturità nel bel mezzo di un cambio di vita. Partiva da casa e passava per i luoghi che avevano rappresentato qualcosa nella mia vita, o che lo sarebbero stati in seguito, posti in cui ero cresciuto o dove sarei andato a vivere di lì a qualche mese.
Ma era la seconda ragione quella più interessante e quella per cui vale la pena raccontare questa storia, una ragione etica se volete. Il fatto è che non si trattava soltanto di prendere la bici e fare qualche passo dolomitico, che sarebbe stato idiota. L’idea era di farlo partendo da casa. In questo modo avrei visto le “terre di mezzo” che dividono il nostro mondo dalle cartoline dolomitiche.