Del resto, dalla montagna se ne erano andati via tutti, tranne quei quattro crucchi, duri come il legno di faggio, che con il tempo, invece di marcire come ogni altro legno, si fa di pietra.
La piccola donna scura immobile davanti a quell’edificio con le porte e le finestre sbarrate, i muri scrostati, dove però si leggeva tuttora con chiarezza la scritta “Scuola Elementare” si fece ancora una volta la stessa domanda che si andava ripetendo da giorni: «Perché cazzo ho accettato?»
Tutto intorno pesava un silenzio minerale e ogni cosa diceva di quello che è stato. L’acqua e il fango avevano scavato solchi profondi, dilavando il fianco della montagna, che adesso precipitava a valle in un solo salto.
C’era stato un tempo che quei fianchi erano attraversati da centinaia di piccoli muri, costruiti sasso a sasso senza un filo di malta, paralleli di pietra interrotti a distanza regolare da meridiani di gradini consumati dall’andirivieni perenne di zoccoli di bestie e uomini. Ogni muro reggeva una tasca di terra, ogni tasca di terra reggeva un pugno di grano saraceno e tutti assieme grano, muri, uomini e bestie reggevano il fianco della montagna.
C’era stato un altro tempo in cui anche lassù si era sognata la ricchezza comoda della neve, che negli anni, assieme alla miseria era la sola cosa che si presentasse puntuale ogni inverno, ma poi successe quello che successe, la neve, a differenza della miseria, non si presentò più e di quel tempo non rimanevano che ossa d’acciaio conficcate nella terra a marcire, perché al contrario del legno di faggio, l’acciaio marcisce.
La piccola donna scura si fece coraggio infilò la pesante chiave, che girò liscia nella toppa e il portone si aprì senza un cigolio; alle sue spalle una voce la fece trasalire: «È lei la nuova maestra? Sa ci metto sempre dell’olio io ai cardini».
Un uomo senza età, poteva avere cinquant’anni o cento, le fece una buffa riverenza e si presentò come il Podestà di Lusérn. Nell’aula in cui il Podestà di Lusérn accompagnò la piccola donna scura, tutto era al proprio posto come se le lezioni si fossero interrotte il giorno prima, non quarant’anni prima; sul muro era appesa una cartina d’Europa con il grande spazio verde percorso per intero dalla scritta URSS e c’era persino il campanello d’argento appoggiato sulla formica verde della cattedra e non un granello di polvere. I calamai colmi d’inchiostro sino all’orlo. L’uomo notò lo stupore della donna: «Beh sa, noi ci teniamo alla nostra scuola, anche se non ci veniva più nessuno da molto tempo, ma adesso vedrà, li sente? Stanno arrivando».
Bello, complimenti, anche se, non tornerà tutto come prima.
V.
Grazie per aver letto
Bello, un simpatico camminare sui sentieri dell’estinzione.
Sì Andrea un’estinzione che a differenza di quello che dicono in tanti non ci meritiamo. Siamo stelle dentro il fango.
Resto col groppo in gola.
Tra Jesolo e Eraclea, in fronte al mare, restano un brandello di campagna coltivata e una striscia di pineta vergine. Più avanti una laguna, poi la spiaggia e alla fine il mare.
Gli scellerati della pianura vogliono distruggere la campagna e metterci un nuovo insediamento turistico, casette, condominietti, qualche francobollo di giardino. 200 milioni di euro di investimento.
Ecco, il turismo scellerato, lo scempio di quel poco di natura rimasta nella pianura Padana, uno dei luoghi più inquinati al mondo.
Eppure non ci vorrebbe molto per inventare un turismo sostenibile, senza mattoni, senza cemento.
Ma la lobby dei costruttori sa pagare bene le tangenti.
è così, ma non potrà essere sempre così. Grazie per aver letto