Mio padre me lo ricordava puntualmente: quel nucleo di quattro persone era stato sterminato dagli occupanti perché avevano nascosto un partigiano ricercato. Probabilmente una soffiata li aveva condotti al muretto di pietra su cui era stata in seguito fissata una lapide. Fucilati senza processo, senza prove, senza ragione. Padre madre e due figli adolescenti. Perché avevano aiutato il giovane Araf a fuggire e a nascondersi. Quel ragazzo che sarebbe tornato qualche anno dopo, alla fine della guerra. Ricordo il muschio profumato nei solchi tra le pietre del muro a secco, che accarezzavo delicatamente ogni volta che ci capitavo conservando quella sensazione magica nel corso di tutta la mia vita.
Il giovane Araf era riuscito a sopravvivere alla guerra e dopo alcuni anni aveva deciso di ritornare in quei luoghi dove era stato causa della morte di una intera famiglia. Era in debito verso di loro e conservava in tasca un pezzo di legno inciso che raffigurava un cerbiatto, regalo di uno dei due ragazzi adolescenti uccisi. Decise di fermarsi iniziando a fare piccoli lavori finché riuscì ad acquistare quello che restava della casa che lo aveva protetto. Con la zappa e con le mani allargò la strada e la rese percorribile più facilmente. Allargò i margini in corrispondenza del muro dove quella famiglia era stata trucidata in modo da creare una sorta di spiazzo dove più persone potessero fermarsi a riflettere e fissò una targa in legno sulla quale aveva inciso i nomi dei quattro membri della famiglia, sormontata da una piccola tettoia che si copriva di neve durante l’inverno. Ne conservo una fotografia ingiallita custodita da mio nonno che conosceva tutta la storia ed i suoi personaggi. Dietro quel muretto scorreva estate e inverno un ruscello la cui acqua tiepida creava intorno al suo percorso un mondo di vegetazione ricca e variegata che rendeva incantevole tutta la zona. E quanto alla casa questa era appoggiata su una terrazza naturale dalla quale una vista imprendibile permetteva di spaziare in lontananza. Grandi alberi che mio nonno aveva sempre conosciuto giganti della natura si alternavano a qualche decina di metri creando una sorta di anfiteatro naturale in mezzo al quale il ruscello dalle acque tiepide veniva a raccogliersi in una grande vasca in pietra che serviva per gli animali, l’orto e la casa.
Con il tempo Araf – di cui nessuno sapeva se fosse un nome di battaglia o il cognome – riuscì ad ingrandire la casa rendendola accogliente e si sposò con una donna che gli diede tre figli. Ben presto dovette fermarsi: gli sforzi eccessivi, la fatica di spostare macigni e costruire argini, muri e sostegni lo avevano sfiancato. Il cuore malfermo iniziò a dare problemi e dovette arrendersi. I figli iniziarono presto a contribuire alla economia familiare e a uno di loro venne in mente di creare una sorta di ristoro per i pochi viandanti che si avventuravano fino a quei luoghi. Presto si creò una piccola fama e la gente sapeva di poter trovare Araf seduto nei pressi della casa o dallo spiazzo del muro a secco, all’ombra di un castagno che si allargava sontuosamente. Spesso le persone si fermavano per scambiare qualche parola e farsi raccontare la sua storia, quella che mio nonno conosceva alla perfezione.